News

Focus sulle Società Remiere: il Reale Circolo Canottieri Tevere Remo

giovedì 5 Novembre 2020

Focus sulle Società Remiere: il Reale Circolo Canottieri Tevere Remo


ROMA, 05 novembre 2020 – Nel nostro viaggio virtuale oggi siamo Roma, e la Capitale ci accoglie nel pieno della seconda ondata di questa infezione pandemica che ha caratterizzato oramai tutto il 2020. Siamo sulle rive del Tevere per incontrare Daniele Masala, pluricampione olimpico e mondiale di pentathlon moderno, e da qualche mese anche Presidente del Reale Circolo Canottieri Tevere Remo. Un sodalizio tra i più antichi d’Italia che affonda le sue radici nella seconda metà dell’Ottocento anche se alcune fonti, e taluni avvenimenti, lasciano intendere che la costituzione di fatto della Società dei Canottieri del Tevere sia avvenuta prima della sua formale fondazione risalente al 1872. Una nascita da identificare nella Società Ginnastica Serny nel cui ambito nacque l’attività remiera romana per iniziativa di Guglielmo Serny, spentosi in giovane età, e di Guglielmo Grant. Ora proviamo, per non perderci nei meandri storici della società, che sarebbe riduttivo trattare in questa rubrica, a evidenziare attraverso le denominazioni del Circolo, avvenute negli anni, un piccolo percorso per arrivare al titolo di “Reale” fino alla fusione con il Circolo del Remo: 1867 Società Ginnastica Serny, 1872 Società Ginnastica dei Canottieri del Tevere, 1883 Reale Club dei Canottieri del Tevere, 1912 Reale Club dei Canottieri del Tevere e del Circolo del Remo, 1929 Reale Circolo Canottieri Tevere Remo, 1967 Circolo Canottieri Tevere Remo, 1994 Reale Circolo Canottieri Tevere Remo.


Per le sue attività il Reale Circolo Canottieri Tevere Remo può contare su una storica sede sociale, situata nel cuore di Roma nella primitiva area concessa dal Comune, sul galleggiante di San Giorgio situato sulla perpendicolare della sede sociale con due galleggianti e due pontoni di imbarco che ospitano le imbarcazioni e una intensa attività sportiva, prevalentemente master; la sede sportiva dell’Acqua Acetosa e la sede di Anzio con venti barche a vela, dalle più sportive Laser alle più tranquille Lightning. Il sodalizio è anche gemellato con 20 Circoli velici e Club remieri italiani e con 12 società straniere. Al fianco del canottaggio vi sono anche altre 14 sezioni sportive e cinque scuole: canottaggio, vela, biliardo, nuoto e tennis. Insomma una società multidisciplinare che ha dato tanto allo sport in genere e al canottaggio in particolare. Per questo iniziamo a dialogare con il Presidente Masala il quale, come abbiamo detto, è da pochi mesi al vertice del RCC Tevere Remo e, quindi, come Federazione, gli facciamo gli auguri di un proficuo lavoro chiedendogli come intende impostare la programmazione sportiva in questo periodo durante il quale insiste ancora l’infezione da covid-19:


“Intanto ringrazio dell’opportunità. Per quanto riguarda il Reale Circolo Canottieri Tevere Remo che, come ha sottolineato, è una società che annovera tanti buoni risultati nel canottaggio, il mio impegno sarà quello di continuare su questa impostazione cercando di trovare campioni che possano ottenere dei risultati a livello nazionale, senza però trascurare l’attività di base che, voglio sottolineare, è la ‘mission’ del circolo. L’art. 1 del nostro statuto recita: ‘ …avente per scopo la promozione, l’organizzazione e la pratica, a livello dilettantistico ed amatoriale, del canottaggio …’ basta questo per obbligarmi a proseguire per una strada che non può e non deve essere solo agonistica, ma anche promozionale e (volendo allargare il concetto) di sport sociale. Sono convinto che lo sport sia la terza agenzia educativa che abbiamo ora nel nostro Paese (dopo famiglia e scuola) e il nostro compito, così come era nell’intento di de Coubertin, è quello di migliorare la nostra società, soprattutto i giovani, attraverso gli insegnamenti e i valori che vengono proprio dallo sport. Mi auguro che questa pandemia non duri ancora tanto, anche se i numeri sono allarmanti, e che tutti gli atleti possano continuare ad allenarsi. L’allenamento non va inteso solo come un modo per migliorare la propria prestazione, bensì come una speranza. Allenandosi gli atleti sperano di partecipare e di vincere una competizione, se non si allenano si perde la speranza di raggiungere un obiettivo, qualunque esso sia. Questo significherebbe togliere il futuro ai nostri giovani, ai nostri figli. Non è quello che vogliamo né io, né i Soci che rappresento”.


Presidente, la sua squadra agonistica come sta vivendo questa seconda ondata di pandemia da covid-19? “Ovviamente con molte difficoltà. La seconda ondata che speravamo non ci fosse, incombe su tutti. Questo ha comportato uno sforzo ulteriore organizzativo ed economico della Società e, allo stesso tempo, degli allenatori e degli stessi atleti che sono obbligati a seguire una prassi di rispetto molto severa, pena l’esclusione. La situazione non è semplice, ma dobbiamo andare avanti credendo fermamente in quello che stiamo facendo”. La pandemia ha bloccato e, dopo una breve parentesi, si sta paventando nuovamente un ulteriore stop alle attività sportive a qualsiasi livello, secondo lei lo sport riuscirà, si spera il prima possibile, a ricuperare questo gap negativo? “Io vorrei fare un augurio a tutti gli sportivi del mondo, cioè quello di riuscire a vedere o a partecipare, per chi ne sarà capace, alle Olimpiadi di Tokyo. Sembrerebbe banale, ma questo auspicio significherebbe che la pandemia è alle spalle. Ergo, tutte le attività sono state riprese in tempo, gli atleti si sono allenati, la vita è ritornata come era. Non mi sembra un augurio limitato al romanticismo di un semplice ex atleta. Poi gli atleti gareggeranno e chi avrà avuto la possibilità di allenarsi meglio, potrà esprimere un agonismo migliore, ma ripeto, l’augurio è fare le Olimpiadi, per tutti anche coloro che non ci arriveranno mai e le vedranno in televisione o sulle varie piattaforme comunicative”.


Presidente Masala, lei è un pentatleta pluricampione olimpico e pluricampione del mondo, giornalista, conduttore televisivo, professore universitario e dirigente sportivo. Ritiene che questo bagaglio di conoscenze e competenze possano esserle utili per questa nuova esperienza da presidente del Tevere Remo impegnata nel canottaggio, disciplina che negli anni ha garantito al suo sodalizio ottimi risultati? “Ritengo che la vita, nel suo mistero, sia una continua occasione di crescita personale e non solo. Spero che la mia esperienza, la mia vicinanza e il mio impegno vicino agli atleti, possano in qualche modo trasformarsi in amore per lo sport e risultati per loro. Inoltre, non vorrei dimenticare che i ragazzi sono costantemente affiancati dagli allenatori che hanno le stesse problematiche. Vale a dire che bisogna star loro vicino e tranquillizzarli nel loro lavoro. In epoca moderna i risultati non sono dettati dalla fortuna o da improbabili coincidenze astrali, ma da un costante e minuzioso impegno giornaliero, nessuno escluso”. Lei è a capo di una delle società più antiche d’Italia, un sodalizio che poggia le sue radici in tre secoli, sente il peso di questa storia secolare? “Assolutamente sì. Essere presidente di un sodalizio che fra meno di un anno e due mesi compierà 150 di anzianità mi responsabilizza di un peso enorme, anche in considerazione del momento che stiamo passando. Ma la storia ci insegna che il RCCTR sa superare le problematiche della vita: ha passato due guerre mondiali, pandemie anche ben più pericolose di questa, regimi e disastri vari; per questo, noi tutti, me in capo, abbiamo l’obbligo morale e materiale di continuare nella tradizione e nella certezza che dobbiamo andare avanti guardando il futuro con fierezza e fiducia. Non si cancella il passato e noi vogliamo ancora scrivere il futuro”.


La sua società si occupa di pararowing ed ha aperto le porte agli atleti special olympics, lei ritiene che attraverso il canottaggio si possa arrivare all’integrazione e allo sport per tutti? “I nostri atleti Special sono il fiore all’occhiello del Circolo. Crediamo nei valori appena enunciati, quindi siamo convinti che dare una possibilità sportiva a questi ragazzi meno fortunati, sia allo stesso tempo un obbligo da parte nostra e un obiettivo da perseguire e raggiungere. Ritengo, quindi, che anche con il nostro apporto possiamo incrementare il pararowing, non per i risultati agonistici che possiamo ottenere, ma per la meta che già dalla seconda guerra mondiale attraverso il dr. Guttmann si cercava di raggiungere: il benessere psichico e il riappropriarsi della autonomia fisica con il conseguente inserimento nella società. Non voglio essere banale, né appropriarmi di aforismi non miei, ma credo fermamente che ‘… Lo sport porta speranza dove una volta c’era disperazione’ (N. Mandela). Basta questo per capire come la penso e come il Circolo tutto sia compatto su questi argomenti”. In futuro come racconterà ai suoi studenti, o ai figli e nipoti, questa parte di storia sociale caratterizzata da quarantene e infezione pandemica? “Come un monito che ci insegna che nulla, in questo mondo, ha un sapore di assoluto. Tutto è in divenire. Quindi non attaccarsi troppo alle cose terrene, interpretando la vita più sotto un profilo culturale che sotto quello materiale. Inoltre direi che l’essere umano è nato con delle caratteristiche di adattamento che nessun altro essere vivente ha su questo globo ed è per questo che bisogna guardare il futuro sempre con fiducia in sé stessi e nel prossimo”.


La sua carriera olimpica è coincisa anche con quella del Presidente Giuseppe Abbagnale. Sia il pentathlon moderno che il canottaggio sono due discipline olimpiche affascinanti per la complessità che hanno in sé, ma secondo lei c’è differenza nel vincere un oro olimpico in questi due sport? “Gli ori olimpici hanno tutti lo stesso sapore e la stessa intensità emotiva. La differenza la fanno i mass media che esaltano un evento di più rispetto ad un’altro. Per fare un esempio: non credo che un goal in Champions League sia più importante di un oro olimpico nel due con, anzi direi che il confronto non regge. Eppure in questo periodo storico, con i meccanismi di comunicazione e le strategie anche economiche che si attuano, il goal diventa più importante. Allora il problema è culturale. Dico sempre ai miei studenti che quando si parla esclusivamente di un argomento, senza trattarne almeno un altro, si sta facendo della sotto-cultura e la sotto-cultura è sorella stretta dell’ignoranza. La superficialità, la poca conoscenza delle cose, sono il vero problema di questo Paese; problema che si riflette anche nello sport che ne diventa lo specchio sociale. Penso che le medaglie di Carmine e Giuseppe (non vorrei dimenticare Peppiniello), ma aggiungerei anche Agostino e tutti gli altri, abbiano la stessa identica dignità e diritto di riconoscenza. Non esiste una medaglia con più valore di un’altra, specie se vinte con correttezza in due sport così severi come lo sono i nostri. Così come ho tifato per loro, sono sicuro che anch’essi lo hanno fatto per me!”.

Speciale “Focus sulle Società Remiere”