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I 70 anni del Dottor La Mura

martedì 28 Settembre 2010

I 70 anni del Dottor La Mura

I 70 anni del Dottor La Mura

ROMA, 28 settembre 2010Giuseppe La Mura spegne oggi 70 candeline. Due ori, due argenti e quattro bronzi tra Atlanta 1996, Sidney 2000 e Atene 2004, 29 titoli mondiali conquistati dall’Italia sotto la sua Direzione Tecnica. Il mito dei fratelli Abbagnale (due ori e un argento olimpici), i numerosi successi ottenuti con il suo Circolo Nautico Stabia. Tanti auguri all’allenatore più vincente della nostra storia azzurra, anzi allo Scienziato di famiglia come lunedì 26 settembre 1988 lo definì Candido Cannavò sulla Gazzetta dello Sport dopo il secondo oro olimpico di Giuseppe, Carmine e Peppiniello.


La Gazzetta dello Sport, lunedì 26 settembre 1988

Lo scienziato di famiglia (*)

La barca degli Abbagnale salpa, come quella dei Malavoglia, nel pieno della nostra notte. Che a Seul ci sia già il sole, non ha importanza: quello è un posto immaginario per chi in Italia ha fissato la sveglia, sacrificando il sonno a un’emozione lungamente annunciata. Sul molo si discute di presunti pericoli, di nemici, di venti infidi e correnti malvagie con i quali la gloriosa caravella di Giuseppe, Carmine e Peppiniello dovrà cimentarsi. E dai nostri teleschermi emerge via via un personaggio straordinario, di solida e antica saggezza: è Peppino La Mura, lo «scienziato» della famiglia, zio dei fratelloni che spingono la barca, ma in realtà padre e padrone dei loro muscoli, della loro tecnica, delle loro menti e forse anche delle loro anime. È lui, come sapete, l’inventore e il regista di questa storia immensa di sport e umanità, che ha conquistato le ribalte del mondo, ma che da otto anni resta fedele allo sfondo verghiano di un borgo del sud, dove l’avvento della tecnica non scaccia mai il genio e la fantasia e il filosofare quotidiano.

Interrompendo gli strilli del telecronista-tifoso, Peppino La Mura scandisce le parole, mai una sillaba in più o fuori posto. Le sue frasi hanno il tono delle sentenze popolari: «Gli Abbagnale hanno lavorato duramente». «Gli Abbagnale moralmente e tecnicamente non sono mai stati così forti». «Gli Abbagnale devono mettere subito la punta della loro barca davanti a quella degli inglesi». Badate bene: non dice mai «Giuseppe e Carmine», bensì «gli Abbagnale», come se volesse sottolineare il suo rispetto verso quell’equipaggio che ha già vinto quattro mondiali e un’Olimpiade e si appresta a un’altra avventura.

Parlando sottovoce, Giuseppe La Mura non solo fa prender fiato al telecronista-tifoso, ma ci rivela particolari tecnici preziosi, ci svela piccoli misteri, ci racconta di filmati realizzati a Mosca che poi lui ha tradotto in disegni e tutti insieme hanno deciso che c’era qualcosa da cambiare nella vogata degli Abbagnale, se si voleva vincere a SeuI. E soprattutto Giuseppe La Mura ci trasmette da quel molo lontanissimo una immensa serenità che svuota le nostre emozioni. Quando la barca parte, i remi degli Abbagnale sembrano unghie conficcate nel costato dei tanti nemici. L’epica della lotta sbollisce presto nel godimento sereno di un trionfo. «Ai 500 metri – dirà La Mura – la gara era già finita». Nella storia del nostro sport, dopo quello madrileno di Tardelli, entra un altro urlo: lo lancia Giuseppe, grande uomo, grande capovoga, e lacera l’aria dopo il traguardo. E noi, nottambuli televisivi, ci sentiamo come derubati di un soffio di sofferenza al quale pensavamo di aver sacrosanto diritto. E aspettiamo che, con un uguale epilogo, possa restituircelo l’altro equipaggio, il quattro di coppia guidato da Agostino Abbagnale, il ragazzino della grande famiglia. Ma, ahimè, quei quattro spudorati, figli di un felicissimo incontro d’amore tra sud e nord, ci ridono in faccia. Altro che sofferenza! Dopo il via, arriva la voce di Giuseppe La Mura: «Quelli lavorano bene nei 1000 metri centrali della gara». In realtà distruggono tutti, inventano una sorta di regata tutta per loro.

E allora non resta che assaporare quelle immagini di felicità che ci coinvolgono in pieno e si proiettano, al di là di Seul, su tutto il nostro sport. Due ori olimpici in mezz’ora. L’impresa è immensa, il medagliere si arricchisce, il mondo ci ammira, tutt’Italia parla degli Abbagnale. Ma enorme è soprattutto il patrimonio, non soltanto sportivo, che dalla storia degli Abbagnale si ricava. C’è un’esemplarità sana, scarna, senza la minima retorica. No, questa non è una semplice vicenda di remi e di trionfi.

Nel pieno della notte, mentre il sonno s’insinuava tra questi dolci pensieri, ho sentito suonare dei clacson. E allora ho farneticato di gente che scendeva sulle strade, come per i gol del Milan, a festeggiare gli ori di Seul. L’illusione è durata pochi attimi. Erano macchine della polizia che rincorrevano qualcuno o qualcosa: non certo medaglie olimpiche.

Candido Cannavò
(*) Articolo di “fondo” del Direttore del quotidiano, pubblicato in prima pagina.