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Comunicato Stampa

venerdì 4 Gennaio 2008

Comunicato Stampa

Gli 11 milioni di volumi della Bodleian Library finiranno sul web. Il progetto si chiama “Ricerca libri” e Google ne è promotore
Oxford, tutta la biblioteca approda in internet
Perché a pensarlo è un’azienda? Per il gran danaro della pubblicità

di ENRICO FRANCESCHINI

Sarebbe un segreto, perché nessuno, tranne pochi addetti ai lavori, entra mai in questo posto: ma ve lo racconto lo stesso. Varchi una porticina di legno, scendi lungo una ripida scala, poi ne scendi un’altra ancora più ripida, finché ti ritrovi parecchi metri sotto terra. Prosegui per un corridoio dal soffitto basso, il cui pavimento è percorso da sottili rotaie, sulle quali corrono, protetti da una grata di ferro, antidiluviani vagoncini, colmi fino all’orlo del prezioso bene nascosto quaggiù.

L’impressione è di essere nel ventre di un’antica miniera, dalle cui viscere però non si estraggono oro, diamanti o carbone, bensì libri. Montagne di libri. Anzi, chilometri di libri: cinque chilometri, per la precisione. E’ lo spettacolo che mi ritrovo davanti, quando la mia guida, sospinta una porta girevole, mette finalmente piede nell’immenso magazzino sotterraneo della Bodleian Library, la biblioteca dell’università di Oxford, la più grande biblioteca universitaria d’Europa. Undici milioni di libri, allineati in un labirinto di scaffali tutti uguali, tra scale, sgabelli, carrelli e tra cartelli vergati a mano che avvisano severamente di rimettere ciascun volume esattamente dove è stato preso: altrimenti, c’è il serio rischio di non ritrovarlo più.

Perdersi qui dentro, del resto, non è una possibilità remota: una linea gialla, tracciata per terra, rappresenta una specie di filo d’Arianna per aiutare il visitatore inesperto, come il sottoscritto, ma pure l’esperto, a ritrovare la via dell’uscita.

Se esiste un luogo che simboleggia l’arcaica repubblica delle lettere, “la repubblica degli istruiti”, come il fondatore della Bodleian Library si compiaceva di definire accademici, studiosi, uomini di cultura, è certamente questo edificio, nel cuore di un’università ottocentenaria, fra quadri di filosofi col parruccone, statue di insigni matematici, scritte in latino (“Dominus illuminatio mea”, il motto di Oxford: Signore, che Tu sia la mia luce) e bibliotecari che sembrano strappati di peso dalla Old England dell’epoca vittoriana.

Eppure passa di qui, da questa miniera di polverosi volumi, il più utopistico progetto mai concepito da chi ama il sapere scritto: digitalizzare, ovvero trasferire nello spazio infinito di Internet, tutti i libri pubblicati in tutte le lingue in tutti i tempi, più tutti quelli che verranno pubblicati in futuro. Romanzi, saggi, biografie, ricettari di cucina, trattati scientifici, guide turistiche, bibbie e corani e talmud, poemi, favole, abbeccedari, atlanti, manuali: insomma, tutti.

Il progetto si chiama “Ricerca Libri”, e il suo promotore è Google: il motore di ricerca più diffuso del mondo, il titano del web, la paroletta entrata nelle nostre vite come l’aria – virtuale – che respiriamo e che ci dà vita in questo ventunesimo secolo. Con Google, com’è noto, si può trovare e imparare ogni cosa: immagini, notizie, mappe, facendo qualsiasi tipo di ricerca. Anche la più intima: è risaputo che oggigiorno un’azienda, prima di assumere un dipendente, o una ragazza, prima di uscire con un potenziale fidanzato, danno loro una “googlata”, come si dice in gergo, ossia digitano il suo nome sul motore di ricerca, per scoprire chi è veramente. E se non ci sei, su Google, puoi temere di non esistere.

In realtà, non è ancora così. Solamente il 10 per cento di tutte le informazioni a livello mondiale sono effettivamente disponibili online. E proprio per rendere sempre più accessibili sempre più informazioni, un paio d’anni or sono Google ha annunciato “Ricerca Libri”. Con l’obiettivo di permettere agli utenti di eseguire ricerche su tutti i libri esistenti, l’utopia da realizzare in un distante futuro, o perlomeno su milioni di libri: dai testi più rari ed antichi ai romanzi ancora freschi di stampa. Organizzando la ricerca non solo su titolo e nome dell’autore, ma sull’intero contenuto di ogni libro: se un nome o un termine appare a pagina 312, digitandolo su Google si dovrebbe poter arrivare a quella pagina, spalancata sotto i nostri occhi, sullo schermo del computer.
Scannerizzare e sistemare in rete milioni e milioni di libri, naturalmente, richiede tempo e risorse.

Soprattutto, richiede buoni cataloghi da cui partire: Google ha iniziato creando una partnership con ventisette fra le maggiori biblioteche universitarie d’America, tra cui quella di Harvard. Ora, è sbarcato in Europa. Ha stretto accordi analoghi con cinque grandi biblioteche universitarie del vecchio continente, tra cui la più illustre, quella di Oxford: cerca rapporti con altre, “per espandere sempre di più il sapere, la comunicazione e l’accesso alle informazioni”, come spiega Santiago de la Mora, direttore di “Ricerca Libri” in Europa, nei futuristici uffici londinesi della Google, dove gli impiegati hanno tutti i jeans, scrivono su computer portatili stando sdraiati su enormi cuscini colorati, e ad ogni angolo c’è un buffet con cibo salutare.

Un secondo aspetto del programma è la partnership con gli editori, che possono mettere in rete tutti i loro cataloghi, inclusi i libri fuori stampa. Né biblioteche, né editori, tantomeno gli utenti che consultano i libri online, pagano un soldo: il servizio è completamente gratuito. Dei libri coperti da copyright, Google mostra solo copertina e qualche pagina, con un link che collega l’utente all’editore per un possibile acquisto; per quelli non coperti da copyright, in genere perché l’autore è morto da almeno settant’anni, Google permette di leggere e scaricare l’intero volume.
Siccome è un’azienda privata, non uno stato benefattore, viene da chiedersi perché lo fa e dove ci guadagna: “Lo facciamo perché rientra nel nostro impegno a democratizzare l’accesso alle conoscenze umane”, dice de la Mora. “E ci guadagniamo con le inserzioni pubblicitarie che gli editori possono fare, se vogliono, in una colonnina di destra dello schermo”. Chi temeva che l’iniziativa portasse alla morte del libro di carta, sbagliava: “Il risultato è che si vendono più libri, non meno, gli editori e gli autori entrati nel nostro programma aumentano le vendite”, continua il direttore di “Ricerca Libri” in Europa. “E per i milioni di testi contenuti nelle biblioteche, il vantaggio è che ora chiunque può consultare libri antichi senza spostarsi da casa propria, digitando semplicemente alcune parole chiave sul computer”.

Il primo pensiero va alla Biblioteca Vaticana, chiusa per tre anni per restauro, tra la disperazione degli studiosi di mezzo mondo: non è che potremmo ritrovarla, nel frattempo, su Google? “Siamo interessati a parlare con nuovi partner dappertutto”, risponde de la Mora. E un altro pensiero va alla biblioteca dell’università di Bologna, l’unica università europea più antica di Oxford: in Italia, al momento, Google non ha ancora una biblioteca partner (ma editori partner, da Feltrinelli a Giunti per citarne un paio, sì).

Intanto, nel sottosuolo della miniera, ho l’onore di vedere, sebbene non m’azzardi a toccarli, due dei documenti di maggior valore della Bodleian Library: il frammento originale di un poema di Saffo, del secondo secolo; e il Codice Mendoza, del quindicesimo secolo, in cui il vicerè del Messico riferisce al re di Spagna, con parole e splendide illustrazioni, i riti della civiltà azteca. Un giorno, chissà, forse finiranno anche questi nella “biblioteca di Babele” digitale. A dimostrazione che Internet, anziché uccidere la parola scritta, permetterà a libri e manoscritti di vivere per sempre.

(4 gennaio 2008)


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