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Telefono Rosa. La testimonianza di Nunzia Musicco Responsabile di uno Centro Antiviolenza e Casa Rifugio

lunedì 30 Ottobre 2023

Telefono Rosa. La testimonianza di Nunzia Musicco Responsabile di uno Centro Antiviolenza e Casa Rifugio

Buongiorno a tutte e a tutti.

Mi presento: sono Nunzia Musicco, Responsabile di un Centro Antiviolenza e Casa Rifugio gestiti dal Telefono Rosa. Lavoro con l’Associazione da 15 anni e sono qui oggi per condividere con tutti voi la mia esperienza. Vorrei, se siete d’accordo, iniziare il mio intervento chiedendo a tutte/i di fare un applauso per tutte le donne a cui la violenza ha tolto la voce, con la speranza che il suono delle nostre mani sia il rumore del silenzio che viene finalmente rotto e non più il suono delle botte. 

Vorrei raccontarvi oggi una di tante storie. Storie di donne, storie di bambini e bambine. Storie che sono per noi all’ordine del giorno e che mostrano tutto l’orrore della violenza che si consuma tra le mura domestiche. Storie di donne a cui è stata tolta la voce, ma che hanno trovato il coraggio di urlare per venirne fuori. Storie di donne e bambini/e che ce l’hanno fatta. Tanti anni fa si è rivolta al Telefono Rosa una donna di circa 30 anni con due figlie di 10 e 7 anni. Questa mamma, nata nel nord Africa, viveva in Italia da diversi anni, ma non parlava l’italiano perché il marito, molto più grande di lei, la teneva segregata in casa. Poteva esclusivamente accompagnare le figlie a scuola, in videochiamata col marito che le contava i passi e i secondi che ci metteva per fare il tragitto. E guai se incontrava la maestra delle figlie o la avvicinava qualcuno. Al rientro a casa veniva picchiata e accusata di essere una meretrice, una traditrice. Non aveva documenti di identità, non aveva un medico di base, non aveva la residenza, mentre il marito, connazionale, aveva tutto in regola.

Questa donna soffriva di convulsioni dovute alle aggressioni fisiche a cui la sottoponeva il marito. L’uomo era solito picchiarla fino a stordirla per poi abusare di lei durante le convulsioni. Era solito anche stringerle il collo finchè non perdeva i sensi. Anche durante entrambe le gravidanze il marito non le aveva risparmiato aggressioni, insulti, controllo e segregazione. La donna infatti aveva subito il distacco della placenta a causa delle botte. Durante l’ultima aggressione le attenzioni violente dell’uomo si sono rivolte anche alla figlia maggiore per essere intervenuta, salvando la mamma dallo strangolamento. A quel punto la donna, rinvenuta, trovò il modo di scappare con le figlie, mentre il marito si era allontanato come era solito fare per spendere al bar i pochi soldi che la donna guadagnava facendo lavori molto umili e senza nessuna tutela. Chiamò il Telefono Rosa che la mise subito in contatto con la Casa Rifugio, anche con l’aiuto della mediatrice culturale. Arrivò in Casa Rifugio con indosso il pigiama e le pantofole. Aveva una borsa con solo i documenti delle bambine. Aveva il viso solcato da rughe e i capelli arruffati. Tremavano. Avevano paura. Saltavano ad ogni rumore casalingo: una sedia che veniva spostata, o una porta che si chiudeva. Ricordo anche che durante i primi mesi di permanenza in Casa Rifugio la più piccola delle figlie si nascondeva sotto il tavolo alle 8 di sera in punto. Tutte le sere. Perché tutte le sere quello era l’orario in cui rientrava il padre e tutte le sere era costretta ad assistere alle aggressioni. Per proteggere la sorellina, per tranquillizzarla, la figlia maggiore la portava con sé in camera e le cantava la sua canzone preferita: una ninna nanna nella loro lingua d’origine. Era la stessa ninna nanna che la mamma cantava a lei quando era piccola ed aveva paura.

Il percorso in Casa Rifugio non è stato semplice per la signora e le figlie. Avevano dovuto lasciare tutto, non avevano più niente. Solo i vestiti che indossavano al momento della fuga e un piccolo peluche che la più piccola stringeva tra le mani come ad aggrapparsi all’unico oggetto che la consolava. Appariva diffidente, evidentemente traumatizzata, ma si rivelò subito una mamma attenta e affettuosa, una donna forte e determinata. Molto collaborativa, quasi intraprendente. Cominciò il percorso di sostegno psicologico con una delle più esperte psicologhe del Telefono Rosa. Venne seguita dalle avvocate civilista e penalista del Telefono Rosa. Cominciò il corso di apprendimento della lingua italiana ed imparava velocemente, si esercitava, faceva i compiti con le figlie per migliorarsi. Spesso cercava il dialogo con le altre donne ospiti o con le operatrici per fare pratica con l’italiano. In collaborazione con il servizio sociale incaricato, furono attivate anche tutte le tutele per le figlie. Ripresero a frequentare la scuola. Con l’educatrice della Casa Rifugio si stabilì un piano di interventi a sostegno del nucleo per restituire a questa mamma la dignità che le era stata sottratta dal marito anche agli occhi delle figlie. Piano piano la più piccola smise di nascondersi sotto il tavolo perché non c’era più il pericolo a cui era stata abituata. La donna riuscì ad ottenere i documenti, l’affido delle figlie e il marito fu carcerato. Giustizia era fatta. La signora sentiva che stava ritrovando la sua serenità, non le importava del destino del marito. Tutti i sensi di colpa e la vergogna divennero un ricordo lontano, pensava solo a ricostruire la sua vita come era da ragazza nel paese di origine, quando sognava di studiare all’università, quando la vita le sembrava un’avventura meravigliosa tutta da scoprire. Prima che la famiglia di origine la vendesse in sposa al miglior offerente.

Oggi la donna lavora in uno studio dentistico come assistente igienista. La figlia maggiore è laureanda in giurisprudenza e vuole fare “l’avvocata delle donne”, come diceva da bambina. La figlia più piccola sogna di aprire una start-up per creare peluche sonori per i bambini, che suonino la melodia della ninna nanna a lei tanto cara, peluche, come quello che stringeva quella sera di tanti anni fa e che ha ancora con sé. Stanno bene oggi e sono felici. Hanno tolto il velo che il marito le costringeva ad indossare, nonostante non professasse la religione musulmana e indossano vestiti nuovi. Qualche volta ci sentiamo ancora al telefono. Ancora ci ringrazia. Ancora noi ringraziamo lei, per averci insegnato la forza e la determinazione, la dignità, il coraggio e la capacità di guardare avanti senza più voltarsi indietro.

Dottoressa Nunzia Musicco
Responsabile casa rifugio Telefono Rosa