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Comunicato Stampa

sabato 26 Luglio 2008

Comunicato Stampa

ROSSANO GALTAROSSA: “LA MIA QUINTA OLIMPIADE? MOTIVO DI ORGOGLIO
MA ANCHE DI ASPETTATIVE. E QUANDO HO DECISO DI RIENTRARE L’HO FATTO
IN PUNTA DI PIEDI CERCANDO SOPRATTUTTO DI RENDERMI ANCORA UTILE

di Franco Morabito

LIVIGNO, 26 luglio 2008 – Quattro Giochi olimpici già fatti e tre medaglie al collo: due col quattro di coppia (bronzo a Barcellona ’92, oro a Sydney 2000), l’altra col doppio (bronzo ad Atene 2004 con Alessio Sartori); ad Atlanta ’96, invece, dovette accontentarsi della simbolica medaglia di ‘cartone’ essendo giunto quarto (ancora sul quattro di coppia) ad un soffio dal podio.
Rossano Galtarossa, padovano, 36 anni compiuti da 20 giorni, torna ancora una volta all’assalto di una medaglia olimpica. E per farlo ha scelto nuovamente il quadruplo con dei compagni di assoluto valore: Simone Raineri, il capovoga che era già in barca con lui otto anni fa nella cavalcata trionfale di Sydney; Luca Agamennoni, livornese, 27 anni, già medaglia di bronzo ai Giochi di Atene in quattro senza; e Simone Venier, pontino, 23 anni, figlio d’arte, anche lui – come Agamennoni – alla seconda esperienza olimpica, decimo quattro anni fa sul quattro di coppia.
Il palmarès di Rossano è ricchissimo: oltre alle medaglie olimpiche ne comprende, infatti, altre 10 iridate (5 ori, 2 argenti, 3 bronzi) collezionate dal 1989 al 2003 fra singolo, doppio e quattro di coppia. “Il doppio è la barca con la quale ho vinto il mio primo Mondiale (juniores); era il 1990, ad Aiguebelette (Francia) e vogavo in compagnia di Alessandro Corona. Ricordo ancora quella finale: ce ne andammo via in partenza e arrivammo in solitudine con un vantaggio nettissimo su tutti gli avversari. Mentre il quattro di coppia è la barca che ho fatto per più anni e che ha dominato la scena mondiale dal 1994 al 1998; per questo motivo, forse, è quella che mi piace di più anche perché ho avuto sempre la fortuna di trovare compagni con i quali mi sono trovato perfettamente a mio agio, anche dal punto di vista umano”.
Dopo il bronzo di Atene (“una medaglia bellissima, di grande significato perché sia io che Alessio avevamo voglia entrambi di dimostrare che non eravamo solo da quattro di coppia”) Galtarossa si era preso un po’ di riposo. “Dopo 16 anni ininterrotti di Nazionale avevo bisogno di staccare un po’ la spina; a pesarmi non erano tanto le competizioni ma i mesi di preparazione invernale, i più faticosi specie per uno sport come il nostro che si fa sull’acqua. L’idea di ricominciare daccapo con il solito tran tran: le sveglie all’alba, gli allenamenti col freddo e la nebbia, i lunghi raduni, mi dava un certo senso di nausea. Dopo 5-6 mesi di stop mi accorsi, però, di aver fatto una stupidaggine: avevo smesso del tutto, passare dai 15-16 allenamenti la settimana allo zero assoluto è stato un grande errore. Trascorso quel periodo iniziale sentii così il bisogno di ripartire. E ricominciai con il Palio delle Repubbliche Marinare, ci trovavamo con i compagni, ci preparavamo assieme, e avere un appuntamento con qualcuno mi obbligava a ritagliarmi quegli spazi che se avessi dovuto ripartire da solo, forse non avrei mai trovato. Subito dopo ho ripreso con l’attività della mia società, la Canottieri Padova; nel 2006 disputando il campionato di fondo e vincendo il titolo tricolore di doppio.
Mentre nell’estate del 2006 è nato il Progetto Pechino, sostenuto da alcuni partner che avevano fiducia in me e decisero di consorziarsi per accompagnarmi verso la mia quinta Olimpiade. Ero incuriosito dagli allenamenti che faceva fare l’allora dt azzurro Beppe De Capua che era stato il tecnico della mia prima barca olimpica, a Barcellona;  con La Mura avevo vinto tanto ma mi incuriosiva questa diversa metodologia. E così, a Padova, decisi di provare la serie di test di De Capua nella stessa sequenza; in quello stato di forma non avevo certo aspettative ma i risultati furono assolutamente sorprendenti e fu in quel momento che capii che potevo essere ancora competitivo. Avevo fiducia anche nel fatto che il  mio rientro come atleta sarebbe stato accolto con piacere dai miei compagni di Nazionale. E sono rientrato, in punta di piedi sapendo dentro di me che solo stringendo i denti potevo tornare a rendermi utile”.
L’anno scorso, di nuovo con la maglia azzurra, il ritorno alle gare internazionali. “Il podio di Linz, nella prima prova di Coppa del mondo nella quale vincemmo l’argento a poco più di 1” dalla Polonia, mi dette molta convinzione anche se sul traguardo ero morto, non ero ancora pronto per una gara così tirata. Poi il Mondiale, con quel quarto posto che ci regalò la qualificazione olimpica fu per me la giusta gratificazione per la decisione che avevo preso”.
Su quella barca, oltre a Rossano e al capovoga Raineri, c’erano anche Luca Ghezzi e Federico Gattinoni che ora hanno però lasciato il posto a Venier e Agamennoni. “Con Luca e Federico mi sono trovato benissimo, è sempre doloroso far scendere di barca due atleti che hanno contribuito a qualificarla per i Giochi. Ma lo sport riserva anche situazioni come questa, difficili dal lato umano, soprattutto con due elementi splendidi come loro. Ora, però, la barca esprime più potenza e quindi trovo la decisione del dt del tutto condivisibile dal punto di vista tecnico. Con questi compagni mi trovo altrettanto bene, in tutti i sensi, abbiamo quattro caratteri diversi ma ci integriamo alla perfezione senza che nessuno debba stravolgere il proprio modo di essere ma mettendolo a frutto per un obiettivo comune.
Gli avversari? Sono tutti difficili e pericolosi, da prendere con le molle. Ma anche loro dovranno fare i conti con noi: questo è l’atteggiamento con cui affrontiamo questa vigilia. Siamo fiduciosi, se fossimo tornati da Poznan anziché con una vittoria con un carico di legna sulle spalle ora sarebbe stato tutto sicuramente più difficile”.
Rossano, quando è a casa, a Padova, è impegnato anche con i giovani. “Ho un incarico con la Provincia nell’ambito del Progetto ‘Sport a scuola’ che mi pone a contatto con molti giovani. E’ un’attività che mi piace, anche se mi richiede molto impegno”.
E la famiglia lo sostiene in tutto. “Sono sposato con Elisa, che compirà 35 anni a fine mese e lavora all’Azienda Ospedaliera di Padova, e ho una sorella, Erika, di sei anni più giovane di me. Per ora niente figli ma ce ne sarà uno nel futuro: sarà questo il mio prossimo obiettivo. Per mia moglie non è facile accettare le mie lunghe assenze per i raduni ma ha sempre cercato di non farmelo pesare. Quando ho cominciato a pensare al mio rientro l’ho fatto con la massima attenzione, non volevo che sembrasse solo una mia sfrenata ambizione. E quando lei ha visto che c’erano imprenditori disposti a sostenermi ha capito che era una cosa seria, da portare avanti.
Per quanto riguarda i partner, il loro è stato soprattutto un attestato di stima e fiducia nei miei confronti; l’unica cosa che ho promesso in cambio è stato il mio massimo impegno in quello che avrei fatto; i risultati, invece, non si possono assicurare”.
Pechino, la sua quinta Olimpiade. “Per me è un motivo di orgoglio e di soddisfazione, ma anche una grande responsabilità carica di aspettative. Mi aspetto tanto da me stesso e so che la gente si aspetta tanto da me; non mi sarà permesso sbagliare. Questo aspetto è importante e io farò di tutto per trasformarlo in elemento positivo, che possa dare qualcosa in più a tutti noi. Una cosa è certa: a Pechino non vado solo per partecipare…”.
Un’ultima nota: il suo pensiero sul doping. “Una cosa che mi fa letteralmente imbestialire è che una carta parte di opinione pubblica possa pensare che dietro ad un grande risultato ci sia sempre qualcosa di illecito. L’utilizzo di certe pratiche, oltre che scorretto dal punto di vista etico e morale, non è affatto salutare. Ma c’è gente che non si fa alcun tipo di scrupolo. Lo sport, invece, è salute. E come fa ad esserlo quando infili nel tuo corpo le peggiori porcherie?”.

NOTA:
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