Canottaggio internazionale e FISA Camp secondo Thor Nilsen (prima parte)
sabato 16 Aprile 2011
Canottaggio internazionale e FISA Camp secondo Thor Nilsen (prima parte)
Canottaggio internazionale e FISA Camp secondo Thor Nilsen (prima parte)
di Enrico Porfido
PIEDILUCO, 16 aprile 2011 – Thor Nilsen, attuale responsabile del programma di sviluppo dei paesi emergenti della FISA, è tornato a Piediluco per organizzare il FISA Training Camp. Un’esperienza iniziata proprio qui con lui negli anni ’80 ed esportata poi in giro per il mondo. Il suo forte legame con questo campo e con la Federazione Italiana Canottaggio è testimoniato dai dieci anni di lavoro come Direttore Tecnico, che l’hanno visto impegnato proprio qui dal 1980 al 1990.
Torniamo un attimo al programma per i paesi emergenti. Quali sono le prossime tappe? “Abbiamo fatto un meeting a Gifu nel 2005, in occasione del campionato mondiale, e abbiamo steso in questa occasione un programma fino al 2012. Purtroppo non abbiamo grandi risorse finanziarie, ma grazie all’aiuto delle federazioni più forti, come l’Italia, la Francia e la Spagna, stiamo riuscendo a portare avanti il programma. Prossime tappe? Ogni anno organizziamo altri FISA Camp in giro per il mondo, ad esempio ultimamente ne organizziamo molti a Siviglia. Altra frequente meta, specialmente negli ultimi anni, è Hong Kong. Ci sono molti posti anche in Cina particolarmente favorevoli ad ospitare attività simili, ma il problema gravissimo è che nessuno parla inglese”.
Potete sempre far affidamento alle Federazioni nazionali locali, oppure capita di dover far tutto da soli? “Purtroppo, o per fortuna, per i nostri progetti ci dobbiamo basare su risorse umane locali. Sarebbe impensabile spostare un ingente numero di persone per un altrettanto ingente numero di anni, per poter avviare dei centri sportivi di riferimento a livello internazione. Costerebbe troppo, mentre affidarsi alle persone locali e farle coordinare da un esperto che viene da fuori è la soluzione migliore, sia da un punto di vista prettamente economico che formativo. Ovviamente per cercare le risorse ci affidiamo alle Federazioni nazionali.”
Quali potrebbero essere i futuri centri internazionali del remo, oltre Hong Kong e Siviglia che abbiamo nominato prima? Sudamerica? “Il primo posto che mi viene in mente è la Cina, ma purtroppo lì parlano solo cinese. In occasione delle Olimpiadi di Pechino è stato costruito il famoso villaggio olimpico, destinato ad ospitare le delegazioni delle varie nazioni. Esistono molti luoghi simili, di dimensioni minori, ma con sempre a disposizioni grandi quantità di attrezzature sportive e di spazi. Loro hanno tutto, ma non si può comunicare. Nel caso specifico di Pechino, il clima non è particolarmente favorevole e, come in Svezia, i campi di regata diventano impraticabili a causa del ghiaccio in inverno. Per questo come punto di riferimento per l’Asia abbiamo scelto Hong Kong, molto più aperta a questo genere di esperienze. Anche la Corea si è mostrata spesso ben disposta, ma a mio parere devono prima risolvere i loro problemi di natura politica e poi si può pensare a qualcosa di concreto per lo sport. In Sudamerica abbiamo cercato di organizzare qualcosa in Argentina, Brasile e Messico. Nelle prime due nazioni siamo riusciti a fare qualcosa, mentre in Messico è stato quasi impossibile a causa dell’altitudine delle città , che si sviluppano a due o tremila metri di quota. L’altitudine rende difficile l’allenamento, per acclimatarsi ci vogliono circa dieci giorni. Non è una cosa semplice. Ultimamente ci siamo messi in contatto anche con i rappresentanti del Portorico, della Columbia, ma sono ancora troppo poco organizzati. Stiamo aspettando ancora un po’ prima di avviare dei programmi che possano dare qualche risultato. Anche El Salvador ha buone potenzialità . Con loro pensare una collaborazione è molto più facile. In Asia parlano solo i dialetti locali e questo è sinonimo di totale impossibilità di comunicazione”.