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Focus sulle Società Remiere: la Canottieri Marconcini

lunedì 2 Novembre 2020

Focus sulle Società Remiere: la Canottieri Marconcini


ROMA, 03 novembre 2020 – Ancora una tappa in Toscana, a Livorno per l’esattezza, durante la quale conosceremo la Canottieri Marconcini nata nel 2003 e attualmente in riorganizzazione. Un sodalizio che nel suo nome contiene una parte importante del canottaggio toscano e italiano la quale, nonostante operi da diciassette anni, è tenutaria di cento anni di storia remiera della famiglia di cui porta il nome. Ma andiamo per ordine e iniziamo a dialogare con il presidente del sodalizio Marco Marconcini il quale incomincia a raccontare che: “la mia famiglia con il 2020 traguarda il secolo di presenza nel mondo remiero. Il primo vogatore fu Renato Barbieri, detto “Attao”, che faceva parte del mitico equipaggio degli “Scarronzoni”, l’ammiraglia che fu Campione d’Europa, a Bydgoszcz (Polonia) nel 1932, e argento alle Olimpiadi di Los Angeles 1932. Oltre a questi successi internazionali Renato Barbieri, zio di mia moglie Cinzia, vinse anche diversi titoli di Campione d’Italia, sempre sull’otto dell’Unione Canottieri Livornesi”. Presidente, ma quando entra in scena un Marconcini nel canottaggio? “È presto detto poiché il primo Marconcini arrivò dopo qualche anno e fu mio padre Unico che, nel 1948, vinse i Campionati Italiani di Santa Margherita Ligure, sempre sull’otto dell’Unione Canottieri Livornesi, e fu finalista alla pre-olimpica di Lucerna valida per la successiva formazione di equipaggi in vista dei Giochi di Helsinki 1952. Mio padre continuò ancora a vogare sul canoino, cimentandosi positivamente in molte gare e insieme a mio suocero Umberto, che per scherzo del destino si chiamava anche lui Marconcini, e furono inseriti nelle ammiraglie varate in quegli anni.


Unico, al termine dell’attività di atleta, iniziò ad allenare il Cral Stanic di Livorno dell’Unione Canottieri Livornesi e continuò nel 1965 quando fu chiamato dai Vigili del Fuoco di Livorno per seguire da tecnico la sezione canottaggio. Molti atleti allenati da Unico Marconcini, compreso il sottoscritto, hanno poi vestito la maglia Azzurra durante mondiali e Olimpiadi”. Senta, ci racconti ancora della famiglia Marconcini: “Lo faccio volentieri per fare un po’ di chiarezza e lo faccio continuando con mio suocero Umberto Marconcini che è stato sia canottiere che allenatore. Negli anni ’70 è stato allenatore del Crlp Portuali di Livorno allenando atleti che hanno vinto numerosi titoli Italiani e partecipato ai Campionati del Mondo juniores. Per motivi di lavoro, in seguito, si è ritirato dal canottaggio dedicandosi alle gare remiere cittadine, e questo fino allo scorso febbraio quando è deceduto. Poi arrivo io, Marco Marconcini. Ho iniziato a remare nell’estate del 1970 e, quindi, sono cinquant’anni che, in un modo o nell’altro, sono affiliato alla Federazione. Al termine della mia carriera di atleta, sotto la guida del mio grande padre-allenatore, ho conseguito grandi risultati per i quali sarò sempre riconoscente per il suo lavoro nei miei confronti e nei confronti degli atleti che seguiva. Come spesso accade, al termine della carriera agonistica ho iniziato quella di allenatore delle giovanili, sempre sotto l’occhio vigile di Unico, ottenendo buoni risultati sia con equipaggi della categoria ragazzi che in quella junior”.


Una storia ricchissima che sarebbe da approfondire, ma andiamo avanti e ci parli dei suoi figli: “Francesco Marconcini, mio figlio, ha vogato in doppio e quattro di coppia nelle categorie giovanili vincendo alcune nazionali e in singolo si è piazzato terzo agli assoluti. Ha partecipato ai mondiali under 23 e ai mondiali universitari ed ha vinto tre titoli italiani universitari. Mia figlia Elisabetta, invece, è riuscita a vincere il titolo di Campione d’Italia in singolo juniores, ha partecipato a una Coupe de la Jeunesse e a due Campionati del Mondo”. Dopo questo excursus storico sulla sua famiglia, ora ci parli di come nasce l’idea di fondare una società che porta il cognome di questa dinastia remiera: “La Canottieri Marconcini viene fondata nel 2003. Erano diversi anni che ci pensavamo e, grazie all’aiuto dell’indimenticabile Presidente Gian Antonio Romanini, siamo riusciti ad affiliarci alla Federazione. La nostra è una piccolissima società iniziata con i miei figli e con alcuni amici ex vogatori e soci amatori. Il nostro obiettivo era, ed è ancora, quello di insegnare ai giovanissimi a remare, utilizzando una buona tecnica, e uscire in barca divertendosi. Ora siamo fermi da qualche anno per problemi di salute, ma gli atleti che avevamo, fortunatamente pochi, li abbiamo indirizzati verso alle altre società livornesi dove hanno potuto continuare la loro attività remiera”.


Quindi ci sta dicendo che la Canottieri Marconcini è destinata a chiudere definitivamente? “Assolutamente no, poiché all’inizi del 2020 ci eravamo proposti di ripartire con una piccola attività giovanile. La pandemia da Covid-19 ci ha fatto temporeggiare per comprendere la sua evoluzione, mentre la decisione è procrastinata al termine di questa infezione che sta mettendo in ginocchio il mondo intero”. A proposito di pandemia da Covid-19, qual è il suo pensiero? “Devo dire che non sono molto ottimista per quello che vedo, poiché noto tanto menefreghismo e ignoranza nelle persone. Quest’infezione pandemica sta generando un cambiamento nelle nostre abitudini, che non tutti sono d’accordo a tollerare, per cui ritengo che il covid-19 per il canottiere può essere un ostacolo specialmente per chi rema in barche lunghe. Il singolo sarebbe, invece, una barca ideale da utilizzare per gli allenamenti anche in questa situazione o, in alternativa per chi le possiede, si potrebbero utilizzare le barche jole da mare con vogatori seduti sfalsati e, quindi, distanti l’uno dall’altro. Ottimo, infine, l’uso del remoergometro, ma solo per gli allenamenti e per i test perché il canottaggio si fa in barca”. Cosa significa oggi, e con le normative attuali, essere il Presidente di un sodalizio sportivo e, nella fattispecie, di una società remiera? “A mio avviso è un ruolo che richiede molta esperienza, conoscenza della società in cui viviamo, tanta pazienza e diplomazia. Ci sono molte responsabilità a cui bisogna fare molta attenzione. Personalmente dopo le esperienze da me vissute in questi anni, ho ritenuto opportuno avvalermi di un buon avvocato e di un ingegnere per districarmi dalle innumerevoli problematiche sorte nel corso degli anni”.


Ci parli, secondo la sua visione, del futuro del canottaggio in Toscana e in Italia: “Il futuro del canottaggio toscano non lo vedo molto roseo. Per prima cosa non abbiamo un campo di gara che si sviluppa sui 2000 metri. A parte le gare che si svolgono sui 1500 metri, o quelle di fondo, le società toscane se vogliono gareggiare sui 2000 metri devono andare fuori regione. Le spese delle trasferte aumentano e se economicamente la società non è solida, anche a livello regionale diventa difficile affrontare l’impegno. Oltre tutto bisogna fare i conti con la realtà perché anche una città come Livorno, devastata da tempo dalla crisi economica, non può più offrire sponsor alle società come accadeva diversi anni fa. Per questi motivi, quindi, andranno avanti solo quelle realtà che possono contare su una solida base economica perché, ma è solo una mia opinione, il canottaggio è diventato più dispendioso ora rispetto a qualche anno fa. Per quanto riguarda il futuro del canottaggio nazionale credo, invece, che vi siano ottimi presupposti per continuare a migliorare il livello raggiunto dai nostri equipaggi azzurri e questo in ogni categoria”. Tra le categorie che vanno a formare i tesserati della Federazione, lei ritiene che la categoria master sia in continua crescita e se sì perché? “Gli atleti master se sono ben ‘guidati’, e con la giusta importanza, fanno bene alle società. Possono aiutare i giovani a migliorarsi ed essere spronati a continuare l’attività. Sono una fonte di risorsa per quelle società che vivono prevalentemente di quote sociali. Credo, inoltre, che sia anche giusto che un atleta non più giovane rimanga in società, magari facendo qualche gara master, perché quando sei stato un canottiere lo sei per sempre, ed ha un bagaglio di esperienza che non va disperso”.


Si parla sempre più insistentemente del coastal rowing da inserire nel programma olimpico e quindi di un suo sviluppo, lei ritiene che questo possa essere un volano per promuovere ulteriormente il canottaggio lungo lo Stivale? “Ritengo che il coastal rowing, se inserito nel programma delle Olimpiadi 2024, avrà uno sviluppo vertiginoso. Con questa disciplina è tutto più semplice poiché i campi di regata, con giri di boe, li puoi realizzare anche in specchi d’acqua limitati, oppure in mare, con partenze da terra con la possibilità di esser seguiti molto da vicino dagli spettatori. Per esempio la canoa, per favorire la spettacolarità, ha introdotto le gare sui 250 metri e gli spettatori hanno molto gradito questa scelta”. Marconcini, anche se attualmente è fermo con le attività, credo che lei sappia che il pararowing sta prendendo sempre più piede nelle società remiere ed il canottaggio è considerato uno sport inclusivo e adatto ad ogni disabilità. Secondo lei quale comunicazione/informazione andrebbe favorita nei confronti degli aspiranti atleti e atlete per spiegare e far comprendere ancora meglio questa opportunità? “Intanto posso affermare di essere d’accordo a considerare il canottaggio adatto ad ogni disabilità. Questo però dovrebbe avvenire in luoghi accoglienti, strutturati ad hoc con personale, tecnici, assistenti e se possibile anche personale medico qualificato. Sarebbe opportuno sensibilizzare le associazioni che si occupano di disabilità facendo conoscere loro il canottaggio pararowing come una opportunità di svago e di aggregazione oltre che di sport”.


Secondo lei come si potrebbero aumentare i tesserati nei vari sodalizi e, conseguentemente, anche nella Federazione? “Ritengo che in Italia ci siano pochissime società che possono offrire quello che i giovani di oggi ricercano: incisività, divertimento, socialità, modernità, ecc. Si è parlato di master, di agonisti, di soci, di pararowing, ma per fare tutte queste attività ci vogliono delle strutture capaci di dare a ciascuno di loro quello che a loro serve. Sono tutti canottieri, ma ciascuno di loro necessita del suo spazio autonomo dagli altri, sia nelle palestre sia che vadano in barca, con attrezzature specifiche ed orari. Allargo il discorso e parlo del canottaggio femminile, poiché ritengo che la Federazione dovrebbe dotarsi di un Centro Remiero femminile con tecnici assegnati, medici, ed attrezzature. Fare spesso raduni regionali per conoscere atlete, individuare possibili talenti e unire il tutto con raduni federali per formare gli equipaggi misti. Inoltre sarebbe necessario istituire anche un College femminile come quello maschile”.


Speciale “Focus sulle Società Remiere”