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Gastone Piccinini ricordato da Adriano Ritossa Socio (ed ex atleta)  del CC Saturnia

venerdì 27 Dicembre 2013

Gastone Piccinini ricordato da Adriano Ritossa Socio (ed ex atleta)  del CC Saturnia

TRIESTE, 27 dicembre 2013 – Chi è un eroe? Già in età giovanile mi ero posto questa domanda e la risposta la trovavo nei modelli culturali allora proposti: da Achille a Garibaldi. Ma erano, e sono, modelli ovattati scevri da quel carattere di attualità che per un giovane è elemento indispensabile. Poi quando un eroe vero ti cammina accanto e attraversa la tua vita non lo sai riconoscere e fatichi a ricondurlo a quei modelli così affascinanti e attraenti. A me è successo così: avevo circa 16/17 anni quando conobbi Gastone Piccinini, cugino di mia madre: le rispettive madri erano infatti sorelle. Venne a Monfalcone durante un incontro con la “Timavo” società di canottaggio con cui aveva militato e vinto un titolo italiano giovanile. Era relegato su una sedia a rotelle ma già dal primo incontro registravo quanta vitalità ed entusiasmo trasparivano dal suo essere. A mia madre avevo chiesto le ragioni di questa invalidità ma la risposta fu povera di particolari e circostanze, ed allora fui io ad andarmele e cercare. Così conobbi l’intensa vita di Gastone Piccinini nato a Trieste il 22 aprile 1915.

Egli si era arruolato volontario nella Regia Marina nel 1934, come allievo radiotelegrafista. Dopo la frequenza del Corso di specializzazione presso la Scuola C.R.E.M. di La Spezia, si era imbarcato sull’“Aurora” dove, nell’ottobre 1940, conseguì la promozione a Sergente. Nel suo stato di servizio figurano imbarchi anche a bordo di sommergibili su cui fu promosso 2° Capo nel 1942. E venne l’8 settembre 1943 che vedeva Piccinini a Napoli imbarcato sul sommergibile “Onice”. Iniziò allora la sua partecipazione alla guerra di liberazione prima cooperando all’organizzazione di un efficiente servizio radio nell’Italia del Nord occupata, poi aggregato alla 5ª Armata americana con compiti di collegamento e di informazione per il Comando Generale. Quando nel dicembre 1943 attraversò le linee venne catturato in un casolare da una pattuglia tedesca. Nonostante il carcere e i duri interrogatori trovò la forza di non rivelare i segreti in suo possesso, neppure dopo essere stato sottoposto a simulata fucilazione. Riuscì però a fuggire, a raggiungere il convento dei Frati Cappuccini di Segni (Roma), trovando ospitalità fino allo sbarco alleato di Anzio.

Passate nuovamente le linee nemiche si recò a Milano per continuare la sua lotta nella guerra di liberazione. Qui nel gennaio del ’44 a casa del capo missione si ritrovò con Sergio Tavernari che aveva già conosciuto a Napoli durante le famose 4 giornate. A loro fu assegnata la stessa missione: rifornimento ai partigiani della montagna, trasmissioni di bollettini con radio “Brianza Libera”. Ma venne quel 20 maggio 1944 in cui la loro vita cambiò radicalmente. L’episodio fu riportato su “Libera Stampa” di Lugano pochi giorni dopo…“Erano circa le quattro del mattino quando echeggiarono sinistramente ripetuti, concitati colpi alla porta dell’appartamento: “Polizei”!! Un centinaio di SS circa, circondato un grosso isolato di case, bloccate le strade adiacenti, iniziarono la caccia ai due ragazzi. “Prendeteli vivi”, urlava un ufficiale ai suoi sgherri, che accecati dal furore teutonico sparavano all’impazzata. Ma vivi non li hanno avuti perché erano coraggiosi e perché lottavano per una causa giusta. Per più di mezz’ora hanno resistito asserragliandosi e barricandosi dietro la porta. Nel frattempo hanno sfasciato l’apparecchio radio, hanno bruciato le carte più compromettenti ed i cifrari.

Quando le belve hanno potuto entrare nell’appartamento, Sergio e Gastone non c’erano più. E la caccia sui tetti è cominciata. Nella notte fino all’alba. I colpi crepitavano. I loro, sempre meno frequenti e quelli degli altri sempre più rabbiosi e frenetici. Ad un certo momento i due ragazzi riuscirono a saltare da una casa su di un’altra – ed era un 5° piano – e si rifugiarono su di un balcone. Da lì, entrare nell’appartamento disabitato, era cosa di un minuto ed essi sperarono, per un momento, di essere salvi. Ma la muta li ha rintracciati ancora: rabbiosa, urlante, assetata di morte. Era ormai mattino inoltrato. Ogni via di scampo preclusa, definitivamente. Essi avevano però giurato che non sarebbero mai caduti vivi nelle mani di chi avrebbe potuto strappare con le torture di cui erano maestri, le troppe cose che sapevano, i troppi nomi che avrebbero dato la possibilità ai venduti di scoprire le molte file della resistenza e della lotta. Temevano una cosa sola: di non resistere alla tortura; e i tormenti non li hanno vinti. Lo penso che anche i più inumani fra quegli esseri che nel dare la morte hanno fatto la loro unica ragione di vita, quando videro i due giovani salire sul parapetto del terrazzo ed insieme, tenendosi per mano, precipitarsi nel vuoto, avranno avuto anche per un solo istante, un istintivo senso di ammirazione. Ma quando la preda, crivellata dai corpi di mitra, raggiunse con un cupo orribile tonfo la terra, essi cercarono ancora di carpire dalle labbra dei moribondi, con ogni mezzo, il loro segreto”.

Questa la pura storia, raccontata dal cronista di un giornale svizzero. Ma credo che solo Gastone e Sergio potevano rievocare le ore interminabili che passarono poi, accoccolati a terra, in una vuota cucina sconosciuta, in attesa delle prime luci dell’alba. Solo loro potrebbero ridire la folle speranza di salvezza che s’andava dileguando man mano che il tempo scorreva e poi la lotta intima tra la giovinezza forte ed esuberante che non voleva cedere ed il sacrifico che appariva ormai inevitabile. Per Gastone il seguito fu atroce. Dapprima la consapevolezza della perdita di Sergio; poi il dolore di sadici interrogatori ed infine la solitudine. Solo la liberazione da parte dei compagni di Porta Ticinese pochi giorni prima del 25 aprile misero parzialmente fine a questo tormento. Dopo la guerra, nel 1946 fu decorato con la Medaglia d’oro al V.M. che fece seguito ad una Croce al V.M. ed una Medaglia d’argento al V.M. Si potrebbe pensare che dopo una simile esperienza e le lunghe operazioni e le cure a cui fu sottoposto avessero fiaccato l’entusiasmo di quest’uomo ed invece il Gastone Piccinini che io conobbi aveva una forza, ed un amore per la vita, ineguagliabile.

Nel dopoguerra conseguì la laurea in Economia e Commercio all’Università di Bologna, ricoprì cariche nell’A.N.P.I., di cui è stato presidente onorario, e nell’Ass.ne Nazionale Marinai d’Italia. Soprattutto lo ricordo fondatore e presidente del “Circolo Brasimone” nato nel 1964 sulle rive dell’omonimo lago e successivamente costretto al trasferimento a Castiglione dei Pepoli. Forse il comune amore per il canottaggio fu la ragione di un’amicizia rimasta intatta nel tempo. Oltre il ricordo mi rimane un grande insegnamento di vita: non arrendersi mai. Il prossimo gennaio ricorreranno vent’anni dalla sua morte, ma non nascondo che ogni qualvolta leggo le righe di quell’articolo giornalistico di Lugano del ’44, un nodo sale inevitabilmente alla gola perché in Gastone riconosco l’Eroe ovvero colui che a fronte di un ideale è disposto a sacrificare, consapevolmente, tutti i suoi averi più preziosi.

Adriano Ritossa