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Berti Bruss: dal libro “Io e i tuoi occhi” a relatore del convegno  Sport e Disabilità””

giovedì 28 Gennaio 2016

Berti Bruss: dal libro “Io e i tuoi occhi” a relatore del convegno  Sport e Disabilità””

TRIESTE, 29 gennaio 2016 – “I profili sportivi francamente oggi mi confortano poco. Ho un età in cui l’essenza non ha più il valore delle medaglie ma dalle esperienze che ne derivano. Per quanto riguarda il canottaggio penso tu li conosca, benchè siano ormai argomenti del secolo scorso e totalmente lontani da un ricordo corrente. Tanti sono i dolori ed i ricordi che mi hanno lasciato. Francamente sono tante le notti in cui sogno di remare ancora, e tu sai bene che certi meccanismi non si dimenticano e certe sensazioni non scompaiono. Sono spesso le persone e gli ambienti che ti allontanano dai tuoi amori. Sono diventato molto insofferente alle scalate sociali, agli yuppies, alle diplomazie compiacenti, al buon viso a cattivo gioco. Generalmente le delusioni sono conseguentemente e direttamente proporzionali alle illusioni ed all’impegno messo nel conseguimento degli obiettivi. Guardo i testimoni della mia/nostra generazione per estrapolarne dei campioni di disadattamento sociale e culturale. Siamo il frutto di due conflitti mondiali che hanno segnato i nostri avi per fame e miseria e noi il frutto del boom economico ed un cumulo di macerie morali che ha preferito il benessere all’armonia, alla solidarietà alla tolleranza e alla condivisione. Possiamo rinunciare alla nostra interiorità, rifiutare i nostri ideali, rinnegare le nostre culture e tradizioni, ma non rinunciamo agli sterili benefit materiali. Abbiamo barattato la nostra intimità e quella di chi ci sta vicino, per produrre danaro in eccesso da spendere malamente. Perdonami, ma sono ragionamenti dai quali non mi riesco ad esimere“.

“La disciplina del canottaggio mi ha insegnato a vivere, le persone che mi hanno circondato la diffidenza e l’indifferenza, colui che mi ha allenato l’ignoranza e l’insicurezza. L’insieme mi hanno lasciato il rimpianto di imprese mai realizzate, sogni e sofferenza. La vela che ho praticato ben prima di cominciare a remare e che ho ripreso a praticare attivamente nel 1984 dopo la rinuncia a partecipare a Los Angeles ‘84 mi ha insegnato a ragionare, a sognare e gestire le mie forze in modo diverso, a condensare le informazioni tecniche con fisica e strategia, dandomi in regalo il concetto della previsione e dell’anticipo. Sportivamente parlando ho fatto parte delle squadre nazionali di vela dell’ex Jugoslavia, della Slovenia e nel 1995 ho partecipato alla campagna olimpica italiana per Atlanta ‘96 con il Soling. Siamo rimasti a casa perchè c’era chi era più bravo di noi. Fra l’1989 ed il 1997 ho partecipato a 9 edizioni della 1000 miglia Rimini-Corfù-Rimini vincendone una, una marea di secondi posti e due disalberamenti. Ho qualche Campionato Italiano in saccoccia, qualche podio Europeo, qualche partecipazione onorevole ai Mondiali. Tutto qui. I premi più importanti fanno parte di un palcoscenico mediterraneo seppur di tutto rispetto. Per contro ho navigato tanto, spesso in solitaria. Ho vinto quattro volte la 500X2, alturiera per una barca, due componenti d’equipaggio e 1.000 km di avventura. La più bella quella del 2014 con un cieco totale, con il quale ho scoperto la violenza del sonno. Grazie per una volta ad un organo federale, che con una deroga al regolamento mi ha permesso di competere con un disabile. Tre mesi di navigazione in un periplo della penisola italiana da Trieste a Sanremo e ritorno con un velista cieco, lo stesso della 500X2 (prima mondiale) non so se possono fare parte di un percorso sportivo (non c’erano medaglie in palio), ma se di sport si può parlare, è forse stato il mio momento di maggior incoscienza ed allo stesso tempo di coerenza della mia vita. Necessario alla mia crescita“.

1) Che effetto ti fa essere stato coinvolto in un Convegno che tratta di due argomenti a te cari come il canottaggio (e lo sport in generale) e la disabilità?
“A dir poco onore. Raccogliere i frutti di più amori e di diverse esperienze sotto un unico comune denominatore è quanto di più gratificante ci possa essere. E’ stato un riscoprire attraverso nuovi attori sicuramente più colti lungimiranti e sensibili, degli aspetti che pensavo perduti. Negli anni in cui il canottaggio era la mia vita, il concetto generale era talmente lontano da quello di un’ utenza rivolta alla disabilità. La vecchia guardia dei tecnici guardava con scetticismo e diffidenza addirittura il mondo dei P.L. e del canottaggio femminile, figuriamoci a quello delle persone con disabilità. Il canottaggio era uno sport da superuomini per superuomini e la fatica incondizionata portata allo sfinimento della macchina, l’unico modo per il raggiungimento del risultato. Francamente tornando indietro riformulerei decisamente questi concetti spesso bestiali. Oggi non è diverso. Vince chi tiene e non si rompe. Il risultato è il solo specchio dell’immagine, tutto ciò che conta veramente sparisce e torna in età avanzata“.

2) Se tu dovessi raccogliere in un ideale time-laps i tuoi ricordi legati al canottaggio?
“Come ti dicevo il canottaggio mi ha formato e mi ha regalato dei momenti indimenticabili. Aldilà dei risultati sportivi, delle medaglie, dei titoli o dei traguardi, è il viaggio che è stato importante. L’approccio con il mare, il silenzio, l’evoluzione metereologica, l’osservazione delle maree, il mutare delle stagioni, gli odori, i colori, lo scorrere della barca sotto il sedere, il colpo in acqua, la tensione del fisico, la palata ben portata, la sensazione e la consapevolezza della remata, della velocità e dell’efficienza del gesto. E questo che resta. Le persone… quelle cambiano, dimenticano, rinunciano. Smettono di crescere e di combattere. E’ un po’ il frutto dei tempi“.

3) Canottaggio e vela in particolare, ed il mare come denominatore comune, che cosa possono dare ad un ragazzo diversamente abile sotto il profilo sportivo, ma soprattutto sociale?
“La specialità sportiva penso conti poco nel rapporto di crescita dell’atleta. Vela, Canottaggio, Canoa, Nuoto Subacquea= MARE. Probabilmente dipenderà dal posto in cui sono nato o dal particolare significato anche caratteriale che condivido con il mare e l’aspetto del termine “NATURA” ad esso correlato. Prima di associare a parer mio il concetto di disabilità a sport bisogna somatizzare, accettare e metabolizzare il concetto di DISABILITA’, accettando la stessa come un semplice componente e sfumatura della vita. Colui che impara ad accettare la disabilità altrui, impara ad accettare la propria di disabilità. Siamo tutti disabili e molto spesso le disabilità più conclamate e pericolose sono proprio quelle che tentiamo di nascondere meglio e che ancora non abbiamo fatto nostre. Come ragionavo prima, per quanto possa essere importante l’obiettivo del viaggio, è il viaggio in se che lascia i risultati. Il percorso. Quello come hai sottolineato tu, sociale. Che deve venire da ambo le parti. Da parte dell’utente e da chi condivide l’emozione. Cosa può dare ad una persona diversamente abile? Le stesse emozioni che dà ad un normoabile. Forse con un senso di gratificazione e consapevolezza maggiore proprio in virtù delle difficoltà e dei preconcetti morali di atavica tradizione“.

4) Qual è l’elemento che manca ancora oggi per avvicinare il soggetto diversamente abile ad una Società sportiva?
“L’accettazione molto spesso da parte di entrambe le parti di condividere una condizione. C’è ancora timore, riguardo, ignoranza nell’approcciare la disabilità e d’altra parte c’è ancora diffidenza a condividere da parte della disabilità il mondo comune. Ci sono, stando alle statistiche, 66.000 persone con disabilità nel solo Friuli Venezia Giulia, 2.700.000 in Italia. Quasi il 5% degli abitanti della Nazione. Ma per strada, nel pubblico, ne vedi pochi e le barriere, purtroppo mentali e non solo architettoniche, sono spesso invalicabili. E’ una questione di cultura. Del resto, al contrario di paesi tradizionalmente più avanzati culturalmente quali Germania, Austria, paesi dell’Europa settentrionale e dell’area scandinava, l’Italia non investe certo nel settore culturale e dell’educazione anche civica, essenziali alla risoluzione di qualsiasi problematica sociale. E’ basato, come succede purtroppo molto spesso in Italia, sulla buona volontà del singolo o di pochi. Le Istituzioni sono decisamente sorde o comunque legate all’area della convenienza. Del resto siamo stati costruiti per produrre, non certo per pensare“.

5) Quanto può essere importante il mondo della Scuola per l’inclusione di ragazzi diversamente abili in un ambiente sportivo? Quale il compito dell’insegnante?
“La Scuola assieme alla famiglia sono le basi della società. E a parere mio devono procedere di pari passo e devono supportarsi reciprocamente. Difficilmente o raramente riuscirà l’area pedagogica a trasformare o recuperare delle realtà familiarmente difficili o sgangherate. E anche riguardo a questo torniamo ai concetti esposti prima. Ci sono insegnanti coscienti del loro ruolo, a dispetto dei riconoscimenti economici e morali, che svolgono la loro missione educativa in modo encomiabile. Altri che aspettano lo stipendio di fine mese con una scrollata di spalle. Del resto anche in questo campo la formazione è latente. QUID CUSTODIED IPSOS CUSTODES? Chi sorveglia i sorveglianti? Parafrasando Bartali, direi che qui è un po’ tutto da rifare, partendo dal buon giorno e buona sera e dai valori morali di base. Lo sappiamo tutti qual è il compito dell’insegnante, del precettore, dell’educatore. Sono le etimologie che ce lo raccontano. L’insegnate fa quello che può e ciò che la famiglia e la vita gli hanno insegnato. E’ una questione di impegno, vocazione, personalità e cultura. Valori per la maggior parte dei casi di carattere personale. Capitali non cedibili. Fortune riservate agli allievi che hanno il pregio di incontrarli“.

6) Quali sono i tuoi compiti nella Consulta?
“La Consulta è purtroppo un passaggio transitorio della mia vita, in quanto, pur avendovi collaborato già da parecchi anni, è dalla primavera del 2015 che presto servizio in modo continuativo tentando di realizzare i miei progetti legati alla disabilità ed a ciò che io chiamo accessibilità. Ho creato Barcolana accessibile, portando 60 portatori di handicap in barca a conoscere la bellezza della Coppa d’Autunno. Come pubblicamente noto, e non ne faccio mistero e vergogna, sto scontando prestando la mia opera ai servizi sociali, una condanna a 22 mesi di carcere per il presunto furto di un contatore del gas. Processo e condanna avvenuti in contumacia e commutati dopo cinque mesi di galera, prima con gli arresti domiciliari, ed in seguito all’affidamento in prova alla Consulta Regionale delle Associazioni delle Famiglie Disabili, per valutare la mia idoneità a rientrare nel tessuto sociale. E anche in carcere ho conosciuto gli aspetti più raccapriccianti di una disabilità latente, che pochi conoscono e che è impossibile debellare. Sto portando avanti il mio progetto di AMARETERAPIA legato alla progettualità di integrazione ed affiancamente delle persone con disabilità, attraverso il mare e le discipline legate ad esso, non ultima il canottaggio. E anche di questo parleremo al seminario di SPORT E DISABILITA’. Lo sconto della mia pena finisce ad aprile e spero che con i risultati ottenuti, il mio mandato ed il mio lavoro possano continuare in forma stabile“.

7) La tua soddisfazione più grande legata a sport e disabilità?
“Il mio viaggio insieme al mio compagno cieco di Pavia Egidio Carantini. Pianificare senza fondi un viaggio di tre mesi lungo le coste italiane, da Trieste a Sanremo e ritorno, di 3.750 miglia, con 3.750 euro, con l’aiuto di un gruppo di disgraziati che ci credevano, realizzarlo. Scrivere il libro “IO I TUOI OCCHI, TU L’ANIMA MIA” e pubblicarlo, è stato chiudere un cerchio. Dare un senso compiuto ad una progettualità, che per un uomo sconfitto dalle vicissitudini della vita ha un significato di rinascita. E ritrovare una parte almeno di un’anima, prestando i propri occhi ad un cieco, una bella conquista“.

Maurizio Ustolin
Ufficio Stampa FIC FVG