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Beatrice Arcangiolini, Mi piacciono le sfide difficili

sabato 7 Maggio 2011

Beatrice Arcangiolini, Mi piacciono le sfide difficili

PIEDILUCO, 07 maggio 2011 – “Mi piacciono le cose difficili e il mio obiettivo è battere le sorelle Lo Bue”. Beatrice Arcangiolini ha le idee chiare. Toscana, classe 1994, con un fisico statuario e due titoli italiani alle spalle (nel 4 senza ragazze e junior nel 2010) più una felice partecipazione alla Coupe de la Jeunesse, l’atleta della Canottieri Firenze si racconta a Canottaggio.org, senza nascondere ambizioni sportive e non solo…

Beatrice, partiamo da Giorgia e Serena Lo Bue: tu e la tua “socia” Sofia Ferrara non riuscite proprio a batterle!
“No, anche oggi, in due senza, siamo arrivate seconde in batteria, speriamo che domani vada meglio. Finora, con loro abbiamo vinto solo una volta, l’anno scorso. Ma al campionato Ragazzi e Junior ci hanno battute. Sicuramente, il fatto di essere sorelle le aiuta, dà una marcia in più: probabilmente hanno un’intesa tale da farle andare più forte”.

E tra te e Sofia, l’intesa com’è?
“E’ buona, ci troviamo bene, anche se mi rendo conto che starmi accanto non è facile. Ho un carattere particolare: pretendo molto da me e dagli altri, quindi a volte posso risultare “pesante”. Ma sono fatta così: se inizio una cosa devo portarla a termine, e poi mi piacciono le sfide difficili. Per esempio, amo la voga di punta perché è più complicata della “coppia”. E poi il mio allenatore mi ha sempre detto che l’atleta capace di vogare di punta può vogare in un singolo. Due singolisti su un due senza, invece, non riuscirebbero a stare in piedi”.

Sei tra le possibili azzurre per i prossimi mondiali junior. Chi ti sostiene di più in questa sfida?
“Sicuramente mio padre e mia madre, che sono i miei primi tifosi. Anche loro sono stati degli sportivi, mia madre ha fatto basket a livello agonistico, e quindi capiscono che cosa vuol dire essere degli atleti”.

Il canottaggio viene considerato un sport da uomini. Tu riesci a mantenere un fisico longilineo…
“Sì, remare vuol dire faticare. Però, conta molto la tecnica, per questo lavoriamo tanto sotto questo aspetto, più che su quello strettamente fisico”.

Remare al tuo livello significa fare sacrifici e rinunce, a scuola come con gli amici. Riesci a conciliare tutto?
“E’ vero, è complicato. A partire dalla scuola, dove quasi nessun professore, se non quello di educazione fisica, capisce che lo sport a questo livello non è come farsi la partitella a calcetto: è un impegno serio, che mi porta a fare molte assenze e mi costringe a ottimizzare il tempo, tra compiti e allenamenti. Quanto alla vita sociale, certo, quando gli altri escono io mi alleno… E ogni tanto qualcuno, tra gli amici, si lamenta bonariamente perché vorrebbe stare più con me. Comunque, molti dei miei amici sono canottieri, quindi condividiamo gli stessi ritmi”.

Che scuola frequenti e cosa immagini per il tuo futuro?
“Sono iscritta al liceo di scienze sociali e l’ho scelto perché si fanno attività affini ai miei interessi: per esempio, ci hanno portato per otto giorni in India ed è stata un’esperienza unica. Comunque, credo che nel mio futuro non ci sia l’Italia: di certo, so che voglio fare ancora canottaggio e, dopo la scuola, mi piacerebbe conciliarlo con l’università, ma all’estero, dove magari ci sono più opportunità. Firenze è bellissima, ma mi sta stretta, come l’Italia. Altrove, potrei trovare un contesto più stimolante, da tanti punti di vista…”.


Stefano Lo Cicero Vaina