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ROMA, 30 settembre 2020 - Oggi ci
troviamo in Veneto, a Padova, per conoscere
l’Associazione Sportiva Padovacanottaggio della
Presidente Biancamaria Mantovani. La Società,
nata nel 1993, è un’Associazione che si è posta
l’obiettivo di formare nuovi sportivi amanti del
canottaggio e metterli alla prova attraverso le
gare cui partecipano o che organizzano. Una
grande famiglia dove tutte le persone che la
frequentano possono trovare un ambiente
amichevole e sereno in cui impiegare il proprio
tempo libero e prepararsi anche per diventare un
campione del canottaggio. Per questa intervista
la Presidente Mantovani ha delegato a rispondere
il suo Vice Presidente Sandro Donadello, al
quale chiediamo se il lockdown ha lasciato
strascichi nella sua società: “Devo
rispondere che, fortunatamente, il periodo di
chiusura è stato, almeno per il momento – se non
dovesse ripresentarsi –, soltanto una parentesi
nella nostra attività. Abbiamo ripreso con gli
allenamenti collettivi della squadra agonistica
nei primi giorni di maggio, dapprima con le sole
uscite in singolo, poi con la possibilità di
utilizzare barche multiple, e con l’attività di
base (corsi per tutte le età) a inizio giugno.
Gli atleti, almeno quelli più motivati, hanno
continuato l’allenamento a casa attraverso i
vogatori dati loro in uso dalla società,
facendosi trovare preparati nel momento della
ripresa. Coloro che frequentano i corsi, dopo
mesi di inattività, non vedevano l’ora di
ricominciare a muoversi praticando uno sport
sicuro, e sono tutti ritornati a vogare sul
nostro fiume”. Vice Presidente, lei ritiene
che la pandemia da Covid-19 abbia generato un
certo cambiamento nelle nostre abitudini, in
genere, e nei canottieri in particolare? “I
cambiamenti nel nostro modo di comportarci sono
noti a tutti, e intervengono praticamente in
ogni attività in cui siamo impegnati, dal
supermercato, al bar, alla scuola, ai luoghi di
lavoro e divertimento. I canottieri, abituati
agli allenamenti quotidiani, hanno certamente
sofferto il lockdown, ma tutti, in modi e misure
diverse, hanno cercato di rimanere degli
sportivi a tutti gli effetti ingegnandosi come
potevano per continuare a muoversi e
differenziare la loro attività anche in mancanza
di strutture e attrezzature specifiche.
Quando la situazione si è fatta meno pesante,
avvicinandoci alla normalità, abbiamo ripreso
rapidamente anche le nostre abitudini grazie al
fatto che le attrezzature che usiamo ci
permettono un buon grado di sicurezza nei
confronti di possibili contagi. Durante questa
estate noi abbiamo limitato al massimo
l’utilizzo della palestra e la conseguente
promiscuità nell’uso delle sue attrezzature,
privilegiando invece le attività all’aperto:
tanta barca, un po’ di corsa e circuiti all’aria
aperta”. La sua società, con tutta
probabilità, prima della pandemia aveva dei
progetti da sviluppare, ora ritiene di poterli
ripristinare e sviluppare ulteriormente?
“Fortunatamente, come già accennato, quasi tutti
gli associati hanno ripreso la loro attività e
possiamo dire che ora guardiamo al futuro con la
stessa fiducia che avevamo prima del lockdown:
per i nostri atleti agonisti, con l’obiettivo di
completare la stagione con più occasioni
possibili di confronto e, per quanto riguarda
l’attività di base, con l’obiettivo di
continuare a fornire un servizio alla
collettività, sperando, come sempre, di
individuare ogni tanto qualche talento”.
Quest'ultima parte della stagione remiera,
ricuperata in corsa, si sta concludendo, ma come
la sta affrontando con la sua squadra?
“Questa stagione, decisamente atipica, ci ha
visto affrontare la prima gara sui 2000 metri
solo pochi giorni fa. Paradossalmente,
inizialmente hanno gareggiato solo i master e
gli allievi, mentre gli agonisti in queste
settimane di settembre sono rimasti a guardare.
Iniziare la stagione gareggiando a ottobre
rappresenta un salto nel buio per gli atleti e
le società: non conosciamo ancora quale sia il
vero valore dei nostri atleti e dei nostri
equipaggi e tra poche settimane saremo tutti
impegnati nella principale manifestazione
agonistica nazionale della stagione, i
Campionati Italiani. Ci si sta allenando da mesi
con grande fiducia e voglia di confronto e penso
che questo sia stato possibile soprattutto per
la grande passione che il canottaggio riesce a
infondere nei suoi praticanti.
Credo che quello che farà la differenza sarà la
motivazione con cui i nostri atleti e i nostri
allenatori hanno saputo far fronte ai mesi di
inattività agonistica. Volendo guardare il
bicchiere mezzo pieno, credo che la situazione
che abbiamo vissuto in primavera sia certamente
interessante proprio sul piano della
motivazione, della voglia di fare e
dell’attaccamento al nostro sport; se ne saremo
capaci potremo trarne un prezioso insegnamento
per il futuro”. Senta Donadello, secondo lei
come si potrebbero aumentare i tesserati nei
vari sodalizi e, conseguentemente, anche nella
Federazione? “Credo che il vero problema non
sia quello di aumentare i tesserati
semplicemente in senso numerico, poiché sappiamo
che i numeri dei praticanti attivi in senso
agonistico sono sostanzialmente invariati da
molti anni. Se vogliamo tesserare tutti coloro
che almeno una volta si sono avvicinati al
nostro sport per caso o per curiosità, potremmo
raggiungere un obiettivo esclusivamente numerico
che però non deve lasciarci soddisfatti.
L’obiettivo dovrebbe essere quello di aumentare
il movimento agonistico, anche se sappiamo bene
quali siano le possibili difficoltà legate a
questo tema: la recettività delle nostre
strutture, i costi di gestione elevati, i costi
delle attrezzature, la concorrenza con gli altri
sport e infine gli stili di vita che stanno
sempre più modificandosi, e soprattutto nei
giovani, nel segno di una maggiore pigrizia e
poca propensione al sacrificio”. Come vede il
futuro del canottaggio nella sua Regione e a
livello nazionale? “Nella nostra regione, il
Veneto, la situazione è abbastanza evidente e
sta seguendo lo stesso trend da molti anni.
Abbiamo carenza di numeri e, spesso, chi si
avvicina al canottaggio lo fa per una curiosità
generica che spinge le persone a provare un po’
di tutto, ma spesso senza una motivazione
specifica: ciò accade per la mancanza di cultura
sportiva. Nella nostra Regione le realtà remiere
sono legate principalmente alle città di
discrete dimensioni (Padova, Treviso, Venezia) e
credo che ciò sia più un limite che
un’opportunità.
Le nostre Società non riescono, infatti, a
proporsi come poli di aggregazione sportiva con
l’efficacia di altri sodalizi che insistono in
realtà territoriali più piccole, da cui riescono
a raccogliere maggiori risorse; penso ad esempio
a certi paesi di provincia che hanno nella
locale ‘Canottieri’ il polo sportivo a cui tutti
ambiscono associarsi. Anche a livello nazionale
la situazione mi sembra sostanzialmente stabile,
attestata nei numeri e nella qualità
all’andamento degli ultimi anni, con le
difficoltà che da sempre ci accompagnano, ma con
le eccellenze che tutti riconosciamo”. Tra le
categorie che vanno a formare i tesserati della
Federazione, lei ritiene che la categoria master
sia in continua crescita e se sì perché? “Il
grande incremento del movimento master, degli
ultimi anni, ci deve far riflettere
sull’andamento generale del nostro sport. Stiamo
assistendo a un ‘invecchiamento’ della
popolazione dei canottieri: dopo l’età scolare i
giovani si staccano dallo sport, mentre si
riavvicinano coloro che lo avevano praticato in
gioventù. A livello senior si è assottigliata la
fascia di atleti di livello medio e medio/alto,
che un tempo esisteva più numerosa e che dava
più qualità alla competizione.
È certamente una cosa bella osservare che il
movimento riceve vitalità anche nelle fasce di
età più adulte, però ciò è anche lo specchio di
un capovolgimento nel modo di approcciarsi
all’attività fisica in generale e sportiva in
particolare. È una tendenza che appare difficile
da invertire, ma ciò costituisce una sfida per
il futuro, chissà che dall’esempio dei più
adulti si generi un maggiore propensione a
continuare l’esperienza sportiva anche nei
giovani che, entrando nella categoria senior,
intendano continuare a cimentarsi in allenamenti
e gare”. Donadello, tra gare virtuali e
ritorno alla normalità il canottaggio pare
essere uscito indenne dall’onda pandemica, ma la
sua società è riuscita a mantenere le
“vocazioni” remiere e continuare a fare corsi?
“Anche se a questa domanda ho già
sostanzialmente risposto in precedenza, mi sento
però di esprimere un parere sul ‘ritorno alla
normalità’. Mi sono molto sorpreso quando ad
aprile ho appreso che le competizioni sarebbero
riprese soltanto nel mese di settembre. Altre
federazioni hanno ricominciato la loro attività
già durante l’estate e credo che proprio per la
specificità del nostro sport, privo di contatto
fisico tra i vogatori, si sarebbe potuto
iniziare a gareggiare prima, almeno sui singoli.
Avrei trovato più sensata e ottimistica la
scelta di valutare la situazione strada facendo,
organizzando regate a giugno o luglio ed
eventualmente rimandando gli eventi nel caso non
vi fossero le condizioni favorevoli. Infatti in
estate la situazione contagi era migliore di
quella attuale: forse abbiamo perso un’occasione
per poterci riavvicinare prima alla normalità”.
Ha una ricetta da suggerire per un
canottaggio moderno e al passo con i tempi?
“Modernizzare il canottaggio, che per
definizione è uno sport ‘tradizionale’
costituisce un problema di carattere culturale.
Personalmente mi sento ancora molto legato al
canottaggio olimpico che conosciamo, dotato di
un suo fascino intrinseco per la tecnologia
delle nostre imbarcazioni, per la bellezza che
possiede un campo di regata perfettamente
allestito, per il tipo di prestazione e di gesto
tecnico che i 2000 m richiedono agli atleti. Una
gara di canottaggio olimpico è una vera impresa
che portano a termine sia coloro che la
organizzano, sia coloro che la disputano sui
remi: per questo sono spinto a vedere soluzioni
come le gare sprint o il coastal rowing come dei
surrogati che potranno forse portare lo sport
della voga all’attenzione di una maggiore fascia
di pubblico, ma che di fatto ne snaturano in
parte lo spirito primordiale”.
Cosa significa oggi, e con le normative
attuali, essere il Dirigente di un sodalizio
sportivo e, nella fattispecie, di una società
remiera? “Certamente la situazione attuale
ci mette al cospetto di uno scenario molto
diverso da quello pre-covid. Chiunque organizzi
e offra qualsiasi tipo di servizio è chiamato a
prendere su di sé molte responsabilità per ciò
che riguarda le misure di protezione e
contenimento all’interno delle nostre Società.
Il rispetto delle regole e la sanificazione
delle strutture e delle attrezzature comportano
naturalmente anche dei maggiori costi. In questo
senso l’iniziativa della Federazione di erogare
contributi a sostegno dell’attività è stata
certamente un segnale forte, che nel nostro caso
si è concretizzato nell’acquisto di un singolo.
Questa aumentata componente di rischio per i
Presidenti delle Società sportive è certamente
gravosa, ma credo che tutti siano disposti a
farsene carico per la volontà di andare avanti e
per promuovere un’attività che possa contribuire
a farci vivere meglio questo brutto momento”.
Speciale "Focus sulle Società Remiere"