News

Perdono l’amore, salgono in barca e ritrovano il sorriso

sabato 13 Maggio 2017

Perdono l’amore, salgono in barca e ritrovano il sorriso


CATANIA, 13 maggio 2017 – La vita li ha divisi da ragazzi, il destino li ha riuniti cinquant’anni dopo. Oggi Luigi Spina e Andrea Gangemi sono grandi amici. Li accomuna la passione per il canottaggio, l’ancora che li ha salvati dalla solitudine, quando alcuni anni fa sono rimasti vedovi. La nostra chiacchierata con questi due distinti signori di 67 e 63 anni comincia al tavolo del chiosco, nel cuore del porto di Catania. Davanti a noi, lo specchio d’acqua che quasi tutti i pomeriggi li culla mentre si allenano sul loro doppio. Proprio come negli anni Sessanta, quando erano due ragazzini alle prime armi. «In realtà io remavo, mentre lui faceva il timoniere perché era uno stuppagghieddu (era un piccolo tappo, era bassino, ndr)», specifica subito con una sonora risata Luigi, capovoga del doppio master del Cus Catania, il più anziano della Sicilia. «Certo, io ero il più piccolo: avevo 13 anni, tu ne avevi 17», risponde piccato Andrea, dando il là a una chiacchierata esilarante e commovente.


«Ci siamo rincontrati a giugno del 2014, l’uno accanto all’altro sulla stessa panca, in chiesa, durante il funerale di Aldo Amato (coordinatore regionale arbitrale, ndr). Io avevo ripreso a remare l’anno prima, sentivo il bisogno di fare qualcosa per distrarmi dal dolore per la morte di mia moglie. Stavo impazzendo», spiega Luigi. Andrea ha cominciato poco dopo. E da allora non hanno più smesso. Il loro è stato un lento ritorno alle origini, stavolta su barche ben più strette delle jole su cui sedevano a 16 anni. E se Luigi ha dovuto rispolverare un movimento che non faceva più da quasi mezzo secolo, per Andrea è stato un inizio, un esordio ai remi. «Da ragazzino facevo il timoniere, così ho imparato a vogare proprio quando ho ripreso, nel 2014. E, ci tengo a specificare, il mio maestro non è stato Luigi…», spiega Andrea, mentre rivolge uno sguardo sfottente al compagno di barca.


Un passo dopo l’altro, mese dopo mese, e i due amici sono diventati un equipaggio. «Certo, non è stato semplice perché Luigi, in barca, parla in continuazione, di tutto», racconta Andrea. «Qualsiasi cosa diventa un’occasione per discutere. Se sul molo vede qualche migrante appena approdato al porto, lui è capace di intavolare un comizio. Io, invece, sono l’opposto: un perfezionista, uno che sta muto e pensa a remare». Due modi diversi d’intendere lo sport a quasi 70 anni, che danno un’immagine divertente, a tratti tenera e coraggiosa di questi due amici ritrovati.


E tra monologhi politici, scaramucce sull’equilibrio precario e grasse risate, a volte, all’improvviso, la barca si ferma, lì in mezzo al porto. E piomba nel silenzio. Rotto dalle lacrime. «E dalle imprecazioni», dice Luigi. «Quando stai in barca la mente viaggia e uno di noi scoppia a piangere pensando alla moglie che non c’è più. Ci chiediamo perché sia successo. Ad Andrea dico che evidentemente dovevamo passare pure questo. E trovarci lì, in quel momento insieme. Come due stronzetti piccolini dovevamo conoscerci cinquant’anni fa e, come due stronzi vecchi, dovevamo rincontrarci». Poi, con un po’ di fatica e l’amaro in bocca, torna il sereno. Si rientra al pontile e la vita riprende, come prima, tra lavoro, casa, figli ormai grandi. Ma sempre con un obiettivo, la prossima gara.


Dal 2015 a oggi, Andrea e Luigi ne hanno disputate tante. Ma la più bella è sempre la prossima. O forse no. «La più bella è stata la prima», racconta Andrea, «perché è stato un concentrato di emozioni. Già durante la settimana ho cominciato ad avere una leggera insonnia. Poi è arrivato il momento di scendere in acqua: in partenza, mi sentivo molto concentrato. Temevo di poter avere defaillance e invece è andato tutto bene. Il bello è stato che all’arrivo ancora ne avevo. Per questo ho detto: “Posso migliorare”. Per Luigi, invece, il ritorno alle gare è stato più traumatico: «Ho vissuto quel momento con terrore, come quando andavo a gareggiare da ragazzo. Poi è passato». E ora questi due “alfieri del canottaggio italiano” – per usare un’espressione coniata dal Giampiero Galeazzi – guardano al futuro con speranza. «Il nostro obiettivo è continuare a divertirci e migliorare», spiega Andrea. «Sempre che Luigi smetta di essere indisciplinato: la mattina prima di una gara ha mangiato cinque cornetti e bevuto quattro caffè. A metà gara boccheggiava e stava per superarci un equipaggio femminile». Adesso, l’appuntamento è il Campionato siciliano di Piana degli Albanesi, il 28 maggio. E chissà che non arrivi pure il Tricolore di Sabaudia, a fine giugno. Due tappe importanti per loro. Che col canottaggio hanno ritrovato l’amicizia. E il sorriso perduto.

Stefano Lo Cicero Vaina
Ufficio stampa FIC Sicilia