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Le Olimpiadi di Helsinki e i due vogatori dimenticati

sabato 25 Giugno 2016

Le Olimpiadi di Helsinki e i due vogatori dimenticati

MILANO, 25 giugno 2016 Una strana richiesta di informazioni pervenuta alla Federazione, basata anche su presupposti non corretti, di cui ci è pervenuta notizia, ha risvegliato l’attenzione su un evento di molti anni fa, curioso anche per l’evolversi allora di preoccupazioni operative su un campo di gara in mare aperto, ma anche per i termini di disponibilità degli equipaggi candidabili a rappresentare l’Italia nel “due senza” all’evento olimpico del 1952. Sessantaquattro anni fa le Olimpiadi di Helsinki, come sta succedendo con quelle di Rio, furono scosse da una serie di contestazioni, preoccupando il mondo del remo l’incognita partecipativa in mare aperto. Oggi inquieta il rischio inquinamento delle acque nel luogo dedicato al canottaggio alle Olimpiadi di Rio de Janeiro.

Allora la grande preoccupazione alla vigilia era legata alla qualità nautica del tracciato di gara. A fine marzo 1952 a Cannes ci fu il Congresso della F.I.S.A., sull’argomento intervenne il presidente federale Gaston Mullegg: “Lungi dall’essere perfetto, lo specchio d’acqua di Meilhati è il migliore che la città di Helsinki, organizzatrice dei Giochi, possa mettere a disposizione della F.I.S.A. Era impossibile ricusarlo, a meno di rinunciare alla partecipazione ai Giochi. Decisione questa di una gravità eccezionale, essendo il canottaggio uno sport olimpico fin dalle origini. La F.I.S.A ha ottenuto dal C.I.O la facoltà assoluta di spostare la data delle regate per tutta la durata dei Giochi, nel caso in cui lo specchio d’acqua fosse troppo irregolare, nonostante le precauzioni previste per porvi rimedio” (1). Successivamente per l’Italia emergeva l’esigenza di realizzare la migliore squadra remiera, in linea con la programmazione (in linea di massima) deliberata dal CONI, canottaggio e canoa (2): 34 atleti e 6 accompagnatori.

Non vi sarebbe stata necessità di una selezione particolare nel due senza timoniere per le Olimpiadi di Helsinki, dove certamente l’equipaggio azzurro del 1951 non avrebbe avuto problemi, anzi buoni motivi per conquistare il podio. Poi però quell’equipaggio malauguratamente cessò. Era un equipaggio di grande rilevanza, inventato e costruito dal lecchese Pietro Galli ancor prima di divenire il “mago” della Falck di Dongo, come molti lo ricordano, allora tecnico alla Canottieri Redaelli di Dervio. E cosa altrettanto eccezionale fu sostituito in maglia azzurra da un altro equipaggio della sponda manzoniana del Lario, questa volta della Canottieri Lecco. Ma andiamo a scoprire questa lunga storia.

Ne abbiamo parlato con Nicolò Simone, unico superstite tra i protagonisti del momento, che oltre a rammentare il suo interessante percorso agonistico ricorda gli eventi ed anche qualche risvolto curioso. “A Dervio, dove sono nato [il 4 dicembre 1931, n.d.r.] e dove tuttora vivo, nell’ambito della Acciaieria Redaelli era attivo il dopolavoro aziendale e relativa sezione canottaggio. Pietro Galli ne era allenatore e mi convinse a remare, formando poi un “due senza” con Erio Bettega, scomparso ormai da vari anni. Fu un buon esordio all’Idroscalo a fine 1949 battendo i campioni italiani junior della Canottieri Lecco. L’anno successivo fummo in squadra per gli europei all’Idroscalo, fu un meritato argento che doveva essere oro: la Svizzera che ha vinto l’avevamo battuta un mese prima al Quadrangolare di Macon”.
Cose che possono capitare nello sport. “Ma non doveva capitare a noi – prosegue agitandosi un po’ il buon Nico, oggi attivo presidente della sezione lombarda degli Azzurri d’Italia – perché la mia embardée quand’eravamo in vantaggio di oltre 20 metri sulla Svizzera non doveva avvenire. Siamo riusciti a rimetterci in linea e rimontare la Svizzera, chiudendo all’arrivo di pochissimo al secondo posto”.

E l’anno successivo? “Oro ai campionati italiani, e agli europei di Macon 1951 puntavamo al massimo risultato: poi fummo secondi dietro la Danimarca, ma fummo squalificati per una discutibile invasione di corsia”.
Quale la causa? “Per un problema di equilibrio nella direzione avevamo bloccato il timone, un modo positivo che ci ha dato sempre ottimi risultati. Quando eravamo già in acqua mi sono accorto che il timone era stato sbloccato, ma era tardi per rientrare a riva a sistemarlo. Abbiamo proseguito, con una serie di problemi direzionali. Quel che è peggio, qualcuno ci mosse degli appunti dopo la gara e a mia volta sollevai il problema del timone, ritenendolo un atto di sabotaggio. Al che quel tecnico federale che ci muoveva rilievi esclamò di averlo sbloccato lui, ritenendo a sua volta trattarsi di azione di disturbo da avversari. Andai fuori dai gangheri, perché il suo intervento senza interpellarci affondò il nostro risultato e se non mi avessero trattenuto gli sarei saltato addosso. Solo in tempo successivo, analizzando tutti i nostri risultati, ci mandò una lettera di scuse, che purtroppo non pareggiava il titolo perso”.
Così concludeste l’annata? “Poi ai Giochi del Mediterraneo ad Alessandria d’Egitto vincemmo l’otto, la nostra era una formazione di eccezionali vogatori: Polloni, Gotti, Cristinelli e Ghidini della Sebino, io e Bettega della Redaelli, Ramani e Tarlao della Libertas di Capodistria, una società ancora viva la Sebino, nella storia dello sport le altre due”.

Successivamente per ragioni di salute Bettega dovette ritirarsi ed in seguito, volendo valorizzare ancora il ricordo dei traguardi internazionali e dei due titoli assoluti italiani del 1950 e 1951 Nico Simone cercò altri abbinamenti, senza trovare il compagno di voga ideale, lasciando vacante lo spazio per il due senza alle Olimpiadi di Helsinki.
All’inizio del 1952 erano in lizza vari “due senza” che aspiravano alla designazione in maglia azzurra e la Canottieri Lecco presentò una buona formazione, dalle variabili iniziali interessanti, che vinse la prima selezione a Milano, piazzandosi alla seconda. I due lecchesi Gianantonio Saverio e Angelo Bruno Gamba rivinsero l’ultimo appello, quello definitivo a Padova, sulle acque del Canale Scolmatore del Bassanello, imponendosi alla favorita Canottieri Firenze il cui equipaggio aveva vinto il titolo italiano dell’anno (3).
Grande soddisfazione alla Canottieri Lecco, partecipare la prima volta con un equipaggio multiplo alle Olimpiadi. La formazione, non quella olimpica, era nata nel 1946 da una idea dell’allenatore Sandro Fumagalli che mise in barca Abramo Castagna e Angelo Bruno Gamba e per un quinquennio è stata bandiera della Canottieri Lecco, col rammarico di essere battuti nel 1948 nelle selezioni olimpiche per Londra dai cremonesi Fanetti e Boni della Baldesio, ma anche di ritrovarsi in un periodo di forte concorrenza e proprio sul lago di casa per la presenza di Bettega e Simone.

Ma alla Lecco non si arrendevano ed intanto altri giovani aspiravano ad entrare in una barca attraente come il due senza: a supporto dell’equipaggio ecco anche il giovane Gian Antonio Saverio. E la fortuna lo aiutò nelle sue aspirazioni: Abramo Castagna era stato chiamato al servizio militare a Fano. Era stato smosso mezzo mondo per farlo trasferire a Lecco, sì da poter proseguire gli allenamenti, ma il sospirato trasferimento arrivò … soltanto il mese dopo la fine delle Olimpiadi. Una rabbia infinita, il rifiuto poi a rientrare a Lecco, il crollo di una grande illusione.

Angelo Bruno Gamba aveva formato con Castagna una coppia affiatata, ma anche col nuovo capovoga, tra l’altro suo amico e compagno di lavoro, iniziava a trovarsi a proprio agio in barca e la formazione cresceva tecnicamente, rispondendo con determinazione ed impegno ai programmi. Però qualcosa era cambiato, un’abitudine, un modo di operare, tant’è che finite le Olimpiadi decise di smettere. Si dedicò con grande impegno alla sua attività di artigiano, staccando dall’ambiente remiero e dedicandosi completamente alla famiglia.
Gian Antonio Saverio era sì uno sportivo, ma agli inizi aveva dedicato le sue energie alla boxe. Lavorava con Angelo Gamba, di cui era amico, che lo convinse a provare una prima uscita in barca con esito positivo e lavoro in parallelo, sino al momento di ritrovarsi nella stessa barca.

Un impegno concreto, culminato con la designazione olimpica, ma il risultato a Helsinki non corrispose alle attese: il loro era un equipaggio tecnico e leggero che si trovò in difficoltà su un campo di regata particolarmente duro, penalizzati da onde e vento. Nella prima batteria l’andamento in gara fu inizialmente ottimale, ma la barca azzurra fu abbordata dalla Polonia (poi “messa fuori gara”): gara fermata ai 500 metri e tutti gli equipaggi riportati alla partenza, ma all’avvio della ripetizione di gara la risposta degli azzurri non fu altrettanto brillante, chiudendo al terzo posto. Ed anche nel ricupero l’equipaggio italiano fu ancora terzo (quindi eliminato, con la “soddisfazione” di lasciarsi dietro, al quarto posto la Finlandia). Ciò che colpisce di questa gara, ma l’argomento per chissà quali ragioni non appare in evidenza in successive comunicazioni federali, è che la Polonia “messa fuori gara” in batteria, il che significherebbe l’esclusione dalla specifica competizione, riappare al secondo posto nell’altro ricupero. E finisce così l’esperienza olimpica di questo equipaggio della Canottieri Lecco, formazione il cui percorso non ebbe lo sviluppo sperato.
Al rientro da Helsinki Gian Antonio Saverio ricevette la cartolina precetto, arruolato negli alpini: forse si può pensare che la destinazione gli abbia fatto piacere. Pur appassionato del canottaggio, vi si dedicava con qualche apprensione e quando saliva in barca si faceva il segno di croce: non sapeva nuotare. A servizio militare concluso ritornò ancora brevemente in barca, ma ormai l’incantesimo era finito.

Ferruccio Calegari

(1) “Il Canottaggio” 1952 – pag. 41
(2) Lo sport della pagaia, che prima della guerra era inquadrato nel Gruppo Italiano della Canoa, branca operativa della Reale Federazione Canottaggio, era stato riproposto dal CONI nuovamente nell’ambito operativo della Federazione Canottaggio.
(3) Dopo la selezione definitiva di Padova (13 – 15 giugno 1952) Fermo Roggiani, vecchio canottiere e attento commentatore scriveva queste note su “Il Canottaggio” (1952 – pag. 79):
“… Fin qui il dolce calice. L’amaro sta nel due senza e nello skiff. Il CRAL Redaelli ci aveva dato lo scorso anno un buonissimo equipaggio con Bettega e Simone, purtroppo la malattia del primo sospese ogni attività dell’equipaggio; tra i rincalzi è emerso il tecnico armo della Lecco, ma a Saverio e Gamba difettano un po’ le doti atletiche indispensabili per un confronto olimpico. I giovani lecchesi sono stati tuttavia scelti: possano il loro entusiasmo e la loro passione sopperire alla mancanza di potenza”.

Note anagrafiche dei protagonisti:
_ Erio Bettega – n. a Dervio (7.02.1931) – m. a Dorio (20.01.1999)
_ Nicolò Simone – n. a Dervio (4.12.1931) – vivente
_ Gian Antonio Saverio – n. Lecco (25.03.1932) – (m. 8.09.1995)
_ Angelo Bruno Gamba – n. Lecco (30.05.1929) – (m. 12.03.1997)

Referenze generali:
_ Collezione annuale “Il Canottaggio”, rivista ufficiale della Federazione Italiana Canottaggio.
_ “Cento anni di sport lariano”, di Bruno Carissimo, E.G. Colombo – Lecco, 1997.