ROMA,
03 maggio 2016 -
La prima medaglia olimpica non si scorda mai. E qui non si parla solo
di un palmares personale, perché si tratta della prima medaglia azzurra a
cinque cerchi di un intero movimento, quello Pesi Leggeri. “Il coronamento
di un sogno inseguito per più di un decennio di duro lavoro, gioie, dolori e
speranze, il tutto concentrato in poco più di sei minuti di gara, dove alla
fine in un mix di adrenalina, acido lattico ed euforia, ti senti di sfiorare
il cielo con un dito. Non so se con queste parole ho fatto trasparire
l’emozione che si può provare, ma giuro che è questa”. Sydney 2000, il
doppio pielle italiano è medaglia d’argento alle spalle della Polonia e
davanti alla Francia. A capovoga c’è Leonardo Pettinari, pontederese
accasatosi, dopo esser cresciuto nella società di casa, alla Forestale, che
nell’Olimpiade australiana si prese la medaglia a cinque cerchi assieme a
Elia Luini.
Un’emozione
che, lo si capisce dalle sue stesse parole, è difficile da spiegare: “Alla
fine della gara con il cuore in gola ho esultato non pensando al respiro ed
al debito di ossigeno che pervadeva il mio corpo, quando me ne sono reso
conto ho dovuto cercare le ultime stille di energia per non svenire… poi i
miei pensieri sono andati a tutte le persone più vicine che mi hanno aiutato
ad arrivare a quel traguardo, dalla mia famiglia a mia moglie, che era in
tribuna a tifarmi, al mio allenatore Sergio Marrucci, che mi ha cresciuto
come e più di un figlio, fino a Michelangelo Crispi, che mi ha insegnato a
far viaggiare il doppio facendo tre anni insieme bellissimi, e a tutti i
miei amici, e questa dopo l’euforia del momento è stata la gioia più grande
perché sapevo di aver fatto veramente una grande cosa grazie a tutte queste
persone”.
Da
un grande successo a una grande delusione: Atene 2004, a mani vuote dopo tre
titoli mondiali vinti consecutivamente. Per chi non ha la classe e la
fortuna di vivere più Olimpiadi, è difficile capire quali fattori possono
incidere, dopo un quadriennio perfetto, perché purtroppo non si riesca a
raggiungere l'obiettivo principale di quattro anni: “Come penso di aver già
lasciato intendere prima, la strada di un atleta è costellata da gioie e
dolori, e Atene purtroppo è un ricordo doloroso. Tre anni indimenticabili di
successi e record del mondo, con Elia Luini eravamo veramente una grande
coppia, un mix di forza, intelligenza e pazzia che ci faceva affrontare ogni
ostacolo con il piglio di chi sa il fatto suo e vuole vincere a tutti i
costi. Così è stato per tre anni, peccato che all’ultimo è andata male.
Purtroppo tutti i risultati, e specialmente quelli olimpici, hanno una
piccola percentuale legata alla fortuna, che è piccolissima ma alla fine
pesa come un macigno… il giorno prima delle batterie fratturarsi una costola
per lo stress, ovvero una frattura provocata dalla contrazione di un
muscolo, come deve essere considerata? Beh, sfortuna nera direi… comunque la
vita è bella anche per questo, e a distanza di anni ricordo ancora quei
brutti momenti come una grande lezione di vita, e quindi pur non avendo al
collo quella tanto agognata medaglia d’oro olimpica mi ritengo fortunato ad
aver vissuto quella pur sempre bellissima esperienza”.
La
storia olimpica di Leonardo Pettinari non è solo Sydney e Atene, ma anche
Atlanta 1996. Da pioniere, perché visse di fatto la prima Olimpiade dei Pesi
Leggeri. Vent'anni dopo, circolano negli ambienti le voci che, per questioni
legate a universalità e bilanciamento tra maschi e femmine, le specialità
leggere potrebbero essere tagliate, forse addirittura sparire. Proviamo a
capire chi ha vissuto da dentro l’inizio di un’epoca, quali sono le
sensazioni legate a questa possibile rivoluzione: “Devo dire che la cosa mi
lascia molto perplesso, ma non per il fatto che si voglia bilanciare le
specialità tra uomini e donne, argomento sul quale sono molto d’accordo, ma
che questo lo si voglia fare a scapito dei pielle, dove abbiamo assistito ad
una crescita incredibile di risultati. Credo che questa strada non sia la
migliore per il nostro sport; credo che una razionalizzazione delle
specialità senior sia la cosa migliore perché se le riducessimo avremmo
sicuramente un innalzamento del livello in termini di prestazioni, con il
risultato di spettacolarizzare ancora di più il nostro mondo.
Inoltre,
penso anche che se non iniziamo veramente ad investire su televisione,
telecronisti preparati e media in generale, il nostro bellissimo sport
rimarrà per sempre una cenerentola di cui ce ne ricordiamo ogni quattro
anni. Purtroppo adesso, da spettatore, mi rendo conto quanto poco
interessante sia vedere una regata di canottaggio e come possa essere poco
apprezzata da chi non capisce nemmeno la differenza tra una barca e una
canoa. Siamo ancora arroccati sul ricordo degli Abbagnale, che hanno fatto
veramente la storia del canottaggio, ma è anche vero che ci sono stati altri
campioni dopo di loro. A volte mi chiedo come mai non si vede un canottiere
in televisione, come mai nessuna pubblicità… Fanno vedere tutti ma proprio
tutti tranne noi, e questo a me fa veramente rabbia perché amo questo sport
e non capisco perché non debba essere pubblicizzato come gli altri.
Pettinari
un tempo poteva essere un buon testimonial, dall’alto dei suoi risultati –
oltre all’argento olimpico e alle altre due partecipazioni ai Giochi, è
stato anche sette volte campione del mondo – ma oggi dopo aver anche
assaporato la carriera da dirigente a tutti i livelli (consigliere federale
2009/2012, vicepresidente del Comitato Toscana dal 2013, presidente della
Canottieri Pontedera) è l’allenatore di riferimento della sua società, il
Pontedera. Ha raccolto un testimone pesante, quello di Sergio Marrucci,
scomparso circa un anno fa dopo una brutta malattia. Un tecnico che
sicuramente ha dato a Pettinari degli insegnamenti che oggi cerca di
impartire ai ragazzi, nella speranza che un giorno qualcuno possa seguire le
sue orme: “Sergio per me era come un padre, un maestro di vita con cui ho
litigato anche pesantemente, contrapponendomi alle sue idee ma capendo alla
fine che aveva sempre ragione lui. Oltre a diventare un campione, Sergio mi
ha insegnato prima ad essere un uomo, perché mi ha sempre detto che un
campione per essere tale deve essere prima un uomo, e solo adesso ho capito
veramente cosa mi voleva dire. Lo capisco ora che sono al suo posto e
davanti a me trovo tanti ragazzi che mi guardano, mi scrutano e mi ascoltano
come io ascoltavo lui”.