ROMA,
24 marzo 2016 - Tra le barche in preparazione per andare
all’assalto del pass olimpico, nella Regata di Qualificazione Olimpica di
Lucerna in maggio, c’è anche l’otto. L’ammiraglia sta lavorando sodo per
realizzare quel sogno a cinque cerchi sfiorato ad Aiguebelette, nell’ultima
edizione dei Campionati Mondiali Assoluti. Nella marcia di avvicinamento a
Rio 2016, la rubrica di canottaggio.org,
La mia Olimpiade, nel suo terzo
appuntamento tratta proprio uno che di Giochi Olimpici in otto se ne
intende: Luca Ghezzi, scuola SC Tritium, poi bandiera della Forestale e oggi
tecnico dell’Idroscalo Club di Milano, capovoga dell’ammiraglia a Sydney
2000 (per la SC Tritium) e Atene 2004 (per la Forestale), oltre che riserva
a Pechino 2008. La freschissima nascita del primogenito Samuele, ai primi di
febbraio, non ha ancora offuscato i ricordi di quelle esperienze. Sydney
2000 su tutte, dove l’otto azzurro con Luca al primo carrello giunse ad un
battito di ciglia dal podio.
“Più della finale forse ho in mente il recupero
pazzesco con il quale la agguantammo – esordisce Luca – perché arrivammo a
Sydney con grosse aspettative, ma partimmo col piede sbagliato. Le
aspettative alte erano dettate dal fatto che nel raduno preolimpico vedevamo
i raffronti dei dispendi e delle tirate con barche che andavano in Australia
per fare risultato, vedi il quattro di coppia che stravinse e il quattro
senza che per poco non beffò la Gran Bretagna, e questo ci dava fiducia.
Ricordo che in quel recupero,
vinto dagli inglesi che poi
conquistarono la medaglia d’oro,
battemmo l’Olanda campione in carica
e la Russia, e non dimenticherò mai
le parole del timoniere, Gaetano
Iannuzzi, che continuava a ripetere
che stavamo entrando nella storia,
perché era una vita che l’otto
italiano non entrava in finale. Fu
una grandissima emozione acciuffare
quella finale, io ero davanti e
avevo appena 22 anni, ma mi sentivo
tranquillo dall’avere alle mie
spalle persone di grande esperienza
come Alessandro Corona e Leonardo
Raffaello (Lello per chi lo conosce
bene, ndr), motivatissimi a
dimostrare il loro valore per
l’esser stati scesi rispettivamente
dal quadruplo e dal quattro senza.
C’era una gran voglia di fare,
ragazzi giovani quanto me (classe
’78) come Palmisano e Pinton,
insomma ci sentivamo bene. La finale
poi fu pazzesca, eravamo in acqua 1,
quindi sotto le tribune nell’ultimo
tratto. Remando a dispari potevo
anche controllare poco ma c’era
Iannuzzi che mi dava le indicazioni,
siamo stati terzi per gran parte
della gara, con Stati Uniti e
Romania subito dietro.
Gran Bretagna
e Croazia lottavano davanti, poi
venne su l’Australia, spinta dal
pubblico di casa, che rimontò noi e
che per poco non riprese anche gli
inglesi. Impossibile scordare il
boato del pubblico locale nelle
ultime decine di metri per i
beniamini di casa, non riuscivo a
sentire niente del resto che avevo
intorno. Noi incalzammo punta a
punta i croati, che a Sydney avevano
puntato praticamente tutto
sull’otto, e alla fine nonostante
gli sforzi, andò come tutti
sappiamo”.
Quattro anni più tardi, ad Atene,
l'otto italiano ancora protagonista,
e il ventiseienne Luca Ghezzi ancora
a capovoga. “E’ strano (ride, ndr),
Atene fu praticamente un’Olimpiade
opposta a Sydney. Anche su
quell’equipaggio c’era tanta forza,
e in Coppa del Mondo a Lucerna
eravamo arrivati terzi, tra l’altro
tutti molto vicini, anche con chi
poi ad Atene salì sul podio o arrivò
in finale.
Dopo Lucerna però patimmo
un calo, e ai Giochi ateniesi, dopo
una batteria sottotono, andammo
nuovamente ai recuperi. Iniziammo
bene, eravamo davanti e pensavamo di
gestirla, poi la Francia risalì, noi
non riuscimmo a contrastarla e
restammo fuori dalla finale, per poi
chiudere vincendo la finale B”. Un
quarto posto per mezzo secondo, una
finale sfumata per tre decimi,
sempre sull’ammiraglia. Luca Ghezzi
(assieme a Marco Penna e al
timoniere Gaetano Iannuzzi l’unico
presente sia nel 2000 che nel 2004)
meglio di ogni altro conosce i
segreti per far andare d’amore e
d’accordo un otto, come quello che
si sta allenando per raggiungere il
sogno olimpico brasiliano: “Devi
lavorare, e tanto, con tutti
concentrati sullo stesso obiettivo.
E’ normale, quando su una barca si è
in nove, che ci sia quello che ti
sta più simpatico piuttosto che
quello con cui vai meno d’accordo.
Ma se tutti guardano comunque al
raggiungimento dello stesso
risultato, la barca va. Ho letto
dagli stessi azzurri che la forza
dell’otto di Aiguebelette era il
gruppo, e sono assolutamente
d’accordo.
Poi è ovvio che ci vuole sempre
un leader, qualcuno più carismatico.
Io per quello avevo le spalle
coperte: Corona e Leonardo a Sydney,
Carlo Mornati ad Atene, ero
tranquillo! E questo penso valga
anche per l’otto degli ultimi
Mondiali, che si sta allenando per
le qualificazioni olimpiche: ci sono
tanti giovani che possono contare
sull’esperienza di chi ai Giochi c’è
già stato, vedi Agamennoni e
Stefanini. Insomma se mischi bene le
caratteristiche migliori di ognuno,
esce fuori una barca competitiva. E
ti resta un rapporto, questo è
sicuro, che va anche al di là
dell’amicizia”. Oggi Luca Ghezzi,
papà di Samuele dopo aver
conquistato un oro iridato Junior
nel quattro di coppia, due argenti a
livello Assoluto su doppio e quattro
con e un bronzo sempre sul quadruplo
Junior, con Ivan Corti è colui che
ha contribuito a risollevare le
sorti agonistiche dell’Idroscalo
Club di Milano, di cui è allenatore
e ai cui ragazzi cerca di
trasmettere tutta la sua esperienza:
“Quando iniziano a praticare il
canottaggio non sanno certo chi
sono, poi piano piano conoscono il
mio passato e mi chiedono di tutto.
Io da parte mia cerco di
trasmettergli l’umiltà del lavoro e
la pazienza di aspettare i
risultati, senza pretendere troppo
subito da loro stessi. Il
canottaggio non è il calcio, non
conosci la gioia temporanea che può
darti uno sport del genere, ci vuole
pazienza per ottenere i risultati, e
devi anche divertirti, perché è uno
sport duro e se non provi
divertimento anche solo a scendere
in acqua per l’allenamento, diventa
difficile praticarlo. Io, un po’
come quando remavo che vogavo sia di
coppia che di punta a seconda di
dove c’era da salire in barca, mi
metto a loro disposizione, mi piace
scendere in barca con i ragazzi che
alleno ed averci un contatto diretto
in acqua. Almeno finché il fisico
(ride, ndr), reggerà e mi permetterà
di farlo!”.
La scheda di Luca Ghezzi