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CURIOSITÀ: L’avventura universitaria di Guglielmo Carcano e Pietro  Zileri negli States

mercoledì 24 Giugno 2015

CURIOSITÀ: L’avventura universitaria di Guglielmo Carcano e Pietro  Zileri negli States

http://www.canottaggio.org/2013_1news/foto/1221_carcano1.jpgROMA, 24 giugno 2015 – In occasione della seconda prova di Coppa del Mondo, svoltasi a Varese lo scorso week end, abbiamo avuto modo di dialogare con due atleti azzurri – in Coppa del Mondo hanno gareggiato in otto fuoriscalmo – che stanno portando avanti un’importante esperienza formativa : si tratta di Pietro Zileri e Guglielmo Carcano. Ambedue i vogatori azzurri infatti attualmente stanno studiano a Seattle nella University of Washington, uno dei migliori 20 Atenei al mondo. Lì, grazie alle opportunità offerte dall’Istituto americano, i due giovani hanno la possibilità di portare avanti studio e attività remiera ed entrambi sembrano entusiasti delle scelte fatte, come si evince dalle parole di Pietro Zileri, che incomincia affermando: “Entrambi siamo partiti con qualche preoccupazione per l’esperienza che ci preparavamo ad affrontare e come noi qualche timore l’avevano anche i nostri genitori. Però quello che ci terrei a sottolineare è che in questo momento siamo nella squadra più forte degli Stati Uniti, con un gap importante rispetto ai competitor, e questo è frutto del grande lavoro che facciamo qui. Noi sapevamo infatti che saremmo andati in un’università che offre una formazione importante sia da un punto di vista accademico che sportivo. Quello che voglio dire è che nella nostra scelta, il canottaggio è stata una componente rilevante che ci ha orientato”.

Ragazzi su cosa è incentrato il vostro percorso di studi? Guglielmo Carcano: “Io, dopo un anno di studio, sono stato ammesso alla Foster Business School, una delle scuole di business al mondo. Sono stato molto contento perché sono riuscito a centrare quello che era il mio obiettivo, superando una dura selezione. Dall’anno prossimo studierò marketing”. Pietro Zileri: “Io e Guglielmo abbiamo affrontato un percorso formativo più o meno analogo, purtroppo però quest’anno non sono riuscito a superare la graduatoria della Foster Business School. Molto probabilmente riproverò in autunno. Nel caso in cui non riuscissi, studierò International Studies con un Sales Certificate, un certificato in più oltre la laurea che mi consentirebbe di inserirmi nel mondo del marketing”. Quali sono le differenze che più vi hanno colpito tra il modello formativo americano e quello italiano?: Guglielmo Carcano: “Il modello americano, rispetto a quello italiano, si discosta molto per quello che riguarda la sinergia tra studio e sport. Negli USA, infatti, i professori concepiscono la vita dello studente che pratica sport e sono propensi ad andare incontro alle sue esigenze. Lo stesso fanno gli allenatori quando sanno che i ragazzi oltre a praticare sport studiano. Un esempio eclatante che mi viene in mente sono i Campionati Americani che l’anno scorso ho disputato in New Jersey. L’impegno prevedeva che noi ci allontanassimo per una settimana. Io ed altri studenti avremmo perso così alcuni esami. Bene, i professori ci sono venuti incontro mandando via mail i test al nostro allenatore e noi abbiamo potuto fare questi esami col nostro allenatore come supervisore. In questo senso il modello americano mostra molta fiducia ed apertura alla sinergia tra i vari comparti formativi. Questo perché docenti e allenatori sanno che entrambi lavorano sotto lo stesso tetto, ossia l’Università di Washington, che si prefigge come obiettivo il successo di chi frequenta, in ogni ambito”.

E aggiunge Guglielmo: “Un altro aspetto che si discosta molto dalla cultura italiana è l’apertura di alcune famiglie nei confronti degli studenti stranieri. Io ad esempio vivo in una famiglia che paga la retta universitaria per me. Loro mi hanno accolto, trattandomi come fossi anche io un familiare. Spesso mi invitano a cena, ci sentiamo durante la giornata, vengono a vedere i miei allenamenti. Si è creato un bellissimo rapporto. Questo è molto importante perché ho trovato una vera e propria seconda famiglia e quindi un supporto, soprattutto nei momenti di difficoltà”. Pietro: “Una delle cose che apprezzo negli USA è che, una volta finito il liceo, lo studente ha due anni per decidere cosa fare nella vita e può costruire il suo percorso formativo scegliendo di avvalersi della consulenza di un Accademic Advisor, che lo segue settimanalmente e lo aiuta a strutturare un percorso formativo funzionale a prepararsi ad eventuali tests di ingresso nei successivi iter studiorum. Anche per me comunque è molto importante il fatto che l’università ci dia la possibilità di studiare e remare perché è un’ulteriore possibilità di crescere. Noi, infatti, siamo chiamati a doverci relazionare sia da un punto di vista sportivo, quindi con il ventaglio di situazioni che ruotano intorno alla squadra, sia nell’ambito universitario e quindi con colleghi di corso, professori ecc. In questo senso il percorso che stiamo portando avanti ci porta a prendere contatto con un ampio spettro di situazioni, consentendoci di acquisire un variegato spettro di esperienze. Questo a mio avviso è molto importante”.

Cosa vi manca di più dell’Italia? Pietro: “Personalmente sento che negli Stati Uniti mi mancano quelle certezze e quella stabilità che avevo in Italia. Io infatti sono cresciuto a Firenze per 18 anni quindi la città la conosco come le mie tasche, lì ho tante amicizie, ho i miei genitori che non mi fanno mancare nulla. In America è diverso: ho sicuramente i compagni di squadra che mi supportano e l’allenatore che è un’importante figura di riferimento. Lui infatti è sempre attento alle esigenze e ai problemi di ognuno di noi, si interessa della vita dell’atleta anche oltre il discorso sportivo, prendendosene cura a trecentosessanta gradi. Per inciso, in questo senso, lì non sono affatto solo un numero o un mezzo per arrivare ad una medaglia, quindi sicuramente mi sento sostenuto ma chiaramente non può essere come quando sono a casa. Per questo infatti lo scorso inverno ho vissuto bei momenti ma anche qualche ribasso dovuto alle fisiologiche difficoltà che può presentare una situazione simile”. Guglielmo: “Sicuramente in primo luogo la famiglia e gli affetti. Fortunatamente oggi, grazie ai mezzi che abbiamo, riusciamo a ridurre la percezione della distanza: penso a Skype, a Facebook o a WhatsAup che sono estremamente utili. C’è la possibilità di conversare in qualsiasi momento e soprattutto di vedersi se pur attraverso un monitor. Questo è importante. Comunque il contatto diretto non si può sostituire. Fortunatamente i miei sono venuti a trovarmi a maggio e si è un po’ spezzato quel grosso buco che si era protratto dalle vacanze di natale, ossia tutto il periodo invernale durante il quale non c’è stata la possibilità di vedere nessuno. Purtroppo in quell’occasione non è potuto venire mio fratello a causa della maturità. Poi anche a me manca molto il cibo. Ricordo infatti che la prima sera che sono tornato a casa mi hanno fatto trovare pizza, pasta, mozzarelle, prosciutto, di tutto e di più”.