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Umanità e capacità tecnica le qualità migliori di Mario Bovo

domenica 15 Giugno 2014

Umanità e capacità tecnica le qualità migliori di Mario Bovo

SABAUDIA, 15 giugno 2014 – Scoprire una targa significa anche scoprire l’uomo a cui è dedicata. Con l’aiuto dell’ Arch. Franco Bovo, figlio dell’indimenticato Mario, cerchiamo di capire chi era il Comandante Bovo. Come è nata questa iniziativa? “L’iniziativa è nata da alcuni colleghi di papà come Capo Malgari, Capo Pierini, Capo Melpignano, cioè le persone che hanno continuato come allenatori nella realtà di Sabaudia la sua opera. Essi lo hanno voluto ricordare non solo come persona, ma come iniziativa nel senso che la sua storia coincide con quella della Marina Militare che per la prima volta ha avviato questa meravigliosa avventura del canottaggio a Sabaudia”.

Dopo tanti anni cosa rimane a Sabaudia dell’opera di Mario Bovo? “Con il tempo si tende a mitizzare le persone, Mario Bovo era una persona come tante altre, certo era riuscito a trasferire qui, in una sonnacchiosa cittadina degli anni cinquanta, dove la realtà era l’emigrazione e il lavoro duro nei campi, una novità: ha piantato un seme che ha avuto un grande successo, una grande crescita. E’ impressionante ricordare i marinai che giravano per la città tutti spavaldi con uno spirito diverso e credo che questo abbia portato un nuovo ossigeno a Sabaudia”. Con questo illustre passato quale futuro è possibile? “Credo che il futuro sia già cominciato: Sabaudia ha concentrato tutti gli Enti Militari e il loro importante contributo allo sport italiano in generale e al canottaggio in particolare. Sappiamo che qui si allena il sessanta per cento degli atleti olimpici italiani. E’ una opportunità che le Forze Armate danno a chi voglia allenarsi con continuità e serenità in una disciplina come il remo”.

Un ricordo particolare di tuo padre? “Lo  spirito che era riuscito a creare a Sabaudia era veramente coinvolgente. Io giravo con lui la sera: dopo cena mi diceva “andiamo a fare un giro” per andare a verificare se c’era qualche marinaio che fumava al cinema, se c’era qualcuno che ritardava, che non rientrava in tempo. Era un rito goliardico dove lui faceva la parte: un teatrino del paese ove faceva il cattivo che arrivava nel bar dove tutti scappavano perché magari i ragazzi avevano bevuto un bicchiere di vino. Alla fine lui rideva i marinai ridevano, ma la mattina seguente tutti in barca ad allenarsi giù al lago”.

Quali erano i principi fondanti del metodo Bovo? “E’ una domanda difficile. Dovrei aprire un discorso molto lungo perché dopo la sua scomparsa ho cercato di capire i suoi principi. Il suo metodo si basava sul rapporto umano e sulla tecnica, era attento a quello che succedeva attorno a se. Ricordo delle serate lunghissime  passate a studiare la moviola dei filmati sugli equipaggi, era aperto alle novità, non l’ho mai trovato chiuso nelle sue idee. Viaggiava, cercava di capire cosa succedeva nel mondo del remo. A quei tempi c’era la Germania Ovest, gli Stati Uniti, aveva fatto tradurre dal tedesco un grande trattato di canottaggio. Ma accanto a questo spirito di conoscenza aveva una grossa umanità che aveva acquisito durante la Seconda Guerra Mondiale e nei tre anni di prigionia. Insomma tutte quelle cose che hanno costruito una persona e qui a Sabaudia ha trovato il posto ideale per potersi esprimere”.