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Donna e sport: l’esperienza di Sara e Claudia

lunedì 5 Dicembre 2011

Donna e sport: l’esperienza di Sara e Claudia

ASSAGO, 05 dicembre 2011 – La presenza delle donne nello sport cresce, andando a insidiare la leadership degli uomini in numerose discipline. Anche la maternità per le atlete non è più un tabù, sebbene la legge che tutelerà questa scelta sia ancora in itinere. Ma nel mondo dello sport c’è ancora la quasi totale assenza di donne a livello manageriale. Sono questi i temi emersi durante il convegno organizzato dal Coni Lombardia “Donna e sport… Mamma e sport”, svoltosi al Forum di Assago, a margine de “La grande sfida” fra le sorelle del tennis statunitense, Venus e Serena Williams e le azzurre, Francesca Schiavone e Flavia Pennetta.

«I tempi sono cambiati e il sesso femminile è diventato veramente il sesso forte in tante discipline. Riconosciamo di essere di fronte a una realtà dello sport italiano e lombardo, in cui la declinazione donna è importante. E spesso la donna atleta, con soddisfazione, è anche mamma», ha commentato il presidente del CONI Lombardia Pier Luigi Marzorati, facendo gli onori di casa per gli ospiti e per le atlete che componevano il parterre di lusso. A confrontarsi sul tema sono intervenute l’on. Manuela Di Centa, membro onorario del CIO e pluricampionessa olimpica dello sci di fondo, Anna Maria Marasi e Diana Bianchedi, componenti la Commissione e la Giunta Nazionale del Coni, le ginnaste Carlotta Ferlito ed Elisabetta Preziosa, le campionesse di canottaggio Sara Bertolasi e Claudia Wurzel, la campionessa italiana di bocce Barbara Guzzetti, l’ex sciatrice Claudia Giordani e Stefania Lella, fondatrice del progetto WILD – Women’s international leadership development, nonché segretario generale del CONI Lazio.

«Un’atleta che rimane incinta deve avere la possibilità di una scelta tutelata, ma anche se non ci sono statistiche ufficiali tante atlete scelgono di non avere bambini – ha osservato Manuela Di Centa, deputata del Pdl e membro del CIO, che si è fatta promotrice della proposta di legge per prevedere il congedo obbligatorio per maternità per le atlete e la corresponsione di un’indennità -. Credo che il cambio di governo non rallenterà l’iter d’approvazione. La legge è già passata alla Camera con consenso trasversale e ora incontreremo il nuovo ministro dello sport Gnudi. L’approvazione sarebbe una grande conquista per il mondo dello sport». 

A smentire i luoghi comuni sulla maternità sportivamente invalidante basterebbe citare atlete come la canoista Josefa Idem, mamma di Janek e Jonas, che ha appena conquistato il diritto a partecipare alla sua ottava Olimpiade. «E’ già evidente che lo sport non ha bisogno di quote per essere rosa – ha detto l’assessore allo sport della Regione Lombardia Monica Rizzi, nel suo saluto -. Oltre a essere campionesse nello sport o nel lavoro, le donne riescono a esserlo anche in altri ruoli. Essere una mamma non deve precludere nessuna strada, ma bisogna rispettare le giuste regole per una maternità tutelata. Dopo l’approvazione della legge nazionale, sarà più semplice applicarla anche a livello regionale».        Il cammino verso la parità nello sport va veloce, tanto che Elio Trifari, presidente della Fondazione Cannavò, ha ricordato che, secondo le previsioni, «nel 2024/2028 la partecipazione femminile alle Olimpiadi supererà quella maschile».

Non bisogna dimenticare le battaglie portate avanti solo pochi anni fa dalle atlete e ricordate , nello stupore delle più giovani, anche da Claudia Giordani, ex sciatrice e oggi presidente del Comitato FISI Alpi Centrali. «Negli anni ’70, a Milano, ero l’unica che correva al campo XXV Aprile: non c’erano ragazze e gli altri atleti mi guardavano con occhi sbarrati. Ricordo le battaglie per i premi, totalmente discriminanti, che fino agli anni ’80 erano decurtati del 30% rispetto a quelli maschili. Ma anche oggi lo sport, soprattutto a livello di dirigenza e istituzioni al femminile, ha ancora tanta strada da fare».                                                                                                                    Anche Stefania Lella ha denunciato come ancora, nella managerialità, le regole sono ben lungi dall’uguaglianza: «Nel mondo dello sport c’è totale assenza di donne nei posti di dirigenza; nel management e nel percorso personale non si recepisce quella solidarietà femminile che c’è invece nella disciplina sportiva».

Il percorso delle atlete, dunque, è frutto di disciplina e fatica, ma ben prima della maternità, deve coniugare l’impegno sportivo con quello scolastico: «La passione per quello che fai è l’elemento che ti spinge avanti – ha raccontato la giovane ginnasta Carlotta Ferlito, vincitrice di tre medaglie ai primi Giochi Olimpici Giovanili di Singapore del 2010 e qualificata per Londra 2012 nella ginnastica artistica -. Ho lasciato la Sicilia a 12 anni per trasferirmi a Milano ad allenarmi e ora vivo in un residence con tutte le mie compagne, dove seguiamo la scuola, oltre che lo sport».

Da Como sono intervenute Sara Bertolasi e Claudia Wurzel, della Canottieri Lario, campionesse di canottaggio qualificate per Londra 2012, che oltre ad allenarsi sono iscritte anche all’Università. «Il segreto è amministrare e sfruttare al massimo il tempo. Impegnarsi il più possibile nei 120 minuti di allenamento in barca e poi studiare nell’ora di pausa dopo pranzo – ha raccontato Sara Bertolasi -. Ma fare l’Università è molto più facile che fare la mamma e mi rendo conto che oggi, da atleta, sto beneficiando di una situazione per cui quelle che sono venute prima di me hanno lottato».

«Mi è capitato di vedere atlete di altre nazioni, durante i mondiali, che si portavano dietro i propri figli, nonostante tutta la tensione che circonda le competizioni le ha fatto eco Claudia Wurzel -. Finivano la gara e correvano ad abbracciarli, ancora tutte sudate. Ho chiesto come facessero e mi hanno raccontato che servono genitori o tate che diano una mano. Ci vuole certamente dell’aiuto per gestire una situazione del genere».

Una delle soddisfazioni più grandi per le atlete, oltre a premi e medaglie, è proprio quella di trasmettere ai propri figli l’amore per lo sport, ha testimoniato infatti la milanese Diana Bianchedi, campionessa di fioretto e componente la Giunta nazionale del CONI: «Ho avuto tutto dallo sport, ma dopo il quinto campionato del mondo ho detto basta. Ora piango alle gare di mia figlia perché rivedo in lei quella gioia che solo lo sport ti sa dare e non importa se non sono le Olimpiadi».   Perché i temi affrontati non rimangano solo parole, ma si traducano invece in buona pratica, ha concluso Marzorati: «saremo ben felici se questo convegno avesse un seguito e cercheremo di portarlo avanti come Comitato Regionale Coni della Lombardia».

 
Ferruccio Calegari